venerdì 17 febbraio 2012

Antifascimo e Resistenza tra Acerra e Pomigliano

Antifascimo e Resistenza tra Acerra e Pomigliano

pubblicata da Dedicato a Pomigliano d'Arco il giorno venerdì 21 ottobre 2011 alle ore 15.11 ·



ANTIFASCISMO e RESISTENZA tra ACERRA e POMIGLIANO
  
Ricerca didattica della classe V B , 1984-85 del Ginnasio-Liceo “V. Imbriani” di Pomigliano d’Arco
Saggio storico del Prof.C. Gravier Oliviero
Prefazione della Preside, prof.ssa Anna Morandi Mariconda


Pubblicato con il patrocinio di
-Comune di Pomigliano d’Arco
-Comune di Acerra
-CGIL-Scuola
-FIOM-CGIL-Napoli
- Istituto Bancario S. paolo di Torino (filiale di Pomigliano D’Arco)

E con il patrocinio e la collaborazione dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza
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(Nota personale  di Luigi Iodice che di questo pregevole lavoro di seguito pubblica  solo una parte dell’introduzione predisposta dagli studenti della V B ed il capitolo 5) dell’indice “Dall’armistizio alla Liberazione”. Il volume è disponibile anche in pdf presso la Biblioteca del Comune di Pomigliano d’Arco che si ringrazia per l’efficienza dimostrata. Il maggior ringraziamento personale va agli studenti , i cui nomi sono citati alla fine dell’introduzione, per il lavoro svolto, mai fatto a Pomigliano  fino al 1985, ed al loro Prof. C. Gravier Oliviero che all’inizio dell’anno scolastico in questione, come riportato nella introduzione, presentò il programma della ricerca agli studenti stessi, ai loro genitori ed al Collegio dei Docenti ottenendone l’approvazione. Pubblico questo lavoro perché io, nato nel 1947 a Pomigliano ,non avevo cognizione delle cose successe immediatamente prima della guerra nel mio paese. Durante la mia gioventù  si era nel boom economico, nella costruzione dell’Afasud e non sono stato  molto curioso: me ne rammarico. Insieme ai nostri genitori stavamo costruendo il nostro futuro e la guerra era alle spalle. Non ci siamo troppo voltati indietro. Non ho avuto d’altronde  “Maestri” di storia del passato prossimo della mia terra. Questo lavoro di ricerca ha colmato una mia lacuna e contribuisce alla crescita delle conoscenze della mia gente. Grazie Ragazzi! Bravi!)  
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INDICE
Premessa — della Preside, prof.ssa Anna Morandi Mariconda pag. 5
Introduzione — della classe V B, a. sc. 1984-85 » 9
La ricerca della classe
1) La terra e la gente » 17
2) Fascismo e Antifascismo » 23
3) Dalla guerra alla caduta di Mussolini » 28
4) Dalla caduta di Mussolini all'armistizio » 36
5) Dall'armistizio alla Liberazione » 40
6) La Liberazione . » 63
Un'esperienza — di Enzo Marino » 67
La fuga del re e del governo — di C. Gravier Oliviero » 71
Indice delle illustrazioni »


INTRODUZI ON E della classe V B
...........omissis............
Oggi, nel 1985, siamo dunque ancora ad un tentativo di ricostruzione completa ed esatta nonché di una prima riflessione
valutativi di quei fatti e delle loro motivazioni
Se di Acerra che, dopo Napoli, è il centro del Napoletano maggiormente investito dalla furia nazista e che pure esprime
vere e proprie azioni di resistenza ad opera di un nucleo di partigiani, si sa tuttora così poco e male, figurarsi di tutti gli
altri luoghi del circondario in cui avvennero fatti in ogni caso meno significativi!
Ad eccezione di Nola, non si sa né è stato scritto nulla in questi 42 anni! Il silenzio assoluto è caduto su Afragola, Casalnuovo, Volli, Casarea, Tavernanova, Licignano, Pomigliano, Castelcisterna, Brusciano, Marigliano...  questo
vuoto che ci siamo proposti di riempire noi con la presente ricerca.
Ce la propose, in una forma ancora implicita, per la prima volta a noi e ai nostri genitori il nostro insegnante di lettere,
nel consiglio di classe allargato a tutti i rappresentati (e non circoscritto ai soli rappresentanti) dell'aprile 1984, quando si
trattò di scegliere i libri di testo per l'anno scolastico successivo.
Sarebbe stata un'Unità Didattica sperimentale suggerita dal Quarantennale della Resistenza, di cui egli aveva l'obbligo
di presentare la proposta organica al Collegio dei Docenti, nella seduta d'inizio d'anno dedicata alla programmazione delle attività.
Avuta l'approvazione del Consiglio di classe, e quindi del Collegio dei Docenti relativamente ai libri di testo per questa
ricerca, ci fu poi l'approvazione definitiva dell'Unità Didattica sia dal Collegio dei Docenti che da una nostra assemblea di
classe, che, infine, dal Consiglio d'Istituto•
Ci imbattemmo ben presto nelle Giornate di Napoli.
Ci chiedemmo che cosa era successo in quei giorni, e poi anche in quell'agitato torno di tempo (dal luglio all'ottobre del '43) nei nostri paesi.
Cominciammo a indagare. Vennero dapprima le testimonianze raccolte in famiglia (i genitori, gli zii, i nonni, i parenti),
poi quelle fornite da amici di famiglia e conoscenti, poi da amici di amici e conoscenti di conoscenti... Il materiale comin
ciava ad accumularsi. Lo ordinammo in schede per uomini, luoghi, date. Confrontammo quindi il nostro bottino con le informazioni bibliografiche: decisamente avevamo raccolto di più.
Che fare? Ci siamo messi in contatto con Istituti, Associazioni, Enti, personalità: l'Istituto Campano per la Storia della Re
sistenza, l'Istituto Nazionale della Resistenza, le Associazioni Combattentistiche, i Sindaci dei Comuni interessati, il Vescovo don Riboldi, i protagonisti di allora...
Abbiamo accumulato altro materiale, ma soprattutto abbia mo ricevuto altri aiuti qualificatissimi, a proposito dei quali non
diremmo mai bene tutta la nostra riconoscenza: nel metodo di lavoro, nella sollecitazione a proseguire, nell'entusiasmo della scoperta per noi e della riscoperta da parte dei protagonisti di allora dei valori per cui si combatté e si morì, nell'aiuto finanziario per la presente pubblicazione.
Siamo consapevoli che si tratta — come dicevamo — solo di un tentativo di comprensione di quegli avvenimenenti, sulla
base del materiale da noi raccolto. Proprio per questo, ne abbiamo circoscritto precisamente il tempo (luglio-ottobre 1943, con qualche richiamo — quando ci è stato possibile — a monte e a valle di tale periodo), e lo spazio (Acerra, Afragola, Casalnuovo, Pomigliano, Volla, Castelcisterna — con qualche leggero sconfinamento, indispensabile per la comprensione e la concatenazione di alcuni fatti).
Molto significative sono state per noi, tra le altre, le lunghe interviste concesseci da Ferdinando Goglia, da Enzo Pi
rolo e dal maresciallo Raffaele Piccolo che vogliamo ringraziare pubblicamente. Essi ci hanno permesso di mettere a fuoco personaggi ed episodi, e di ricostruire l'insieme non sempre disorganico né sempre strutturale dei fatti. Di altri informatori riferiamo anche testualmente la testimonianza tutte le volte che essa ci è sembrata particolarmente significativa o suggestiva di intensa umanità.
Abbiamo fatto una straordinaria esperienza. Non avremmo mai pensato che, oltre all'aoristo greco e alla consecutio tem-
porum latina, potessimo apprendere, in un italiano spesso in certo e sgrammaticato (ma più spesso in un napoletano vivido e corposo), la storia di un Mezzogiorno intriso di sangue, di fremiti di improvvisa rivolta e di ambigui ostinati o pudichi silenzi.
Abbiamo visto come si fa la storia, e chi la fa. Abbiamo visto come la si scrive e come la si racconta. Proviamo per una
volta a scriverla e raccontarla noi che non abbiamo trovato e speriamo di andar sempre cercando la verità.

Gli studenti della V B
celeste balsamo - anello beneduce - carmensita di mainchiaralba esca - daniela gioffrè - alessandro izzo - gaetano laudando -  rosaria laudando - marco marini - pasquale marrazzo - massimiliano martone – candida morgera - antonella panico - mariateresa pipola - giuseppe piscicelli - simona romano - giancarlo ruotolo - angela sabatino - martello sodano - rossella sodano - teresa soriano -  michele torella - giuseppe venezia - giuseppina viola - tiziana visone - gianfranco zarrella


DALL'8 SETTEMBRE ALLA LIBERAZIONE

E giungiamo a quella assurda sera dell'8 settembre. Mentre ancora giungevano, attutiti dalla relativa lontananza e dall'incerto riparo dei ricoveri, i rombi dei quadrimotori alleati e i tonfi sibilanti delle bombe cadenti su Napoli, la voce gracchiante di Badoglio annunciava per radio: « ...la soverchiante potenza avversaria..• un armistizio al generale Eisenhower... La richiesta è stata accolta... ogni atto di ostilità... deve cessare da parte delle forze italiane... però reagiranno ad... attacchi da qualsiasi altra provenienza ».
È finita! È finita! Giù nelle strade, fuori dai ricoveri..., campane a festa... Avete sentito? L'armistizio! P- finita la guerra!
Corse di gioia, grida di esultanza, lacrime•.. Il cuore batte forte nel petto. Negli occhi di una ragazzina, si fissò indelebile
la scena del padre che « sbatté il suo berretto a terra con una forza da far spavento, e saltava ». Sempre a Casarea, sembrò che i Tedeschi provassero soddisfazione: chi sa? forse finiva anche per loro!
È sera: ormai la luna, gialla e tonda, si alza luminosa dietro la spalla del Vesuvio. Ancora più cupo e lontano comincia
a sentirsi uno strano continuo rimbombo, come di un cannoneggiamento ostinato: sono gli Alleati che stanno per sbarcare a Salerno. Comincia adesso la « lunga nottata » del popolo italiano.
L'Italia è allo sbando: fra due giorni, il Comando germanico annuncerà sprezzantemente: « Le forze armate italiane non
esistono più! ». L'Italia ritorna ad essere una semplice espressione geografica: una intera nazione non è più che una somma confusa di individui i quali, durante questa lunga nottata, attraverseranno l'incubo febbricitante di una agonia che — e non sarà stato per fortuna o per caso — si risolverà in un risveglio
di recuperata salute. Per la prima volta nella sua storia, il popolo non subirà la libertà di pensarla come vogliono gli altri.
E tutto questo comincia con il decidere da sé, senza attendere ordini che, ormai, non arrivano più. In ogni caso, la decisione fu sofferta; e a volte decisioni contrastanti condussero ad un medesimo esito.
Un gruppo di giovani di Acerra che, durante i 45 giorni, avevano fatto un esaltante apprendimento di democrazia, si ritrovano ora sconcertati. Essi ritengono, in tutta onestà, che quello degli Italiani sia un ingiustificabile e ingiustificato
voltafaccia. Fino al termine della guerra nell'alta Italia, continueranno a pensare che i Tedeschi possono (e gli Italiani avrebbero potuto) ancora vincere. Alcuni di loro senza aver commesso altro « reato » che quello di esprimere democraticamente le loro idee, faranno conoscenza col carcere di Poggioreale.
Fra le migliaia di soldati che si vestono da civili e cercano in tutti i modi di raggiungere casa, riteniamo il nome di un gio
vane ragioniere pomiglianese di 26 anni, Vincenzo Pirozzí: non riesce a passare le linee, e si nasconde a Roma. Cadrà nella retata dei Tedeschi furibondi per l'attentato di via Rasella, e sarà trucidato il 24 marzo '44 alle Fosse Ardeatine, mentre il suo paese vive scene di panico per i boati e i terremoti provocati dal Vesuvio in una furiosa eruzione. Forse era il giovane con giacca da soldato e calzoni a quadretti bianco-neri? O era quello che fu poi rinvenuto con le mani aggrappate alla parete della galleria, colle dita affondate nella sabbia? O era quello che aveva gli avam
bracci e le mani fasciate, e tre dita uscivano dalle bende?
Un altro eroe muore già l'indomani, 9 settembre, a Mondragone. È il colonnello Michele Ferraiuolo, di Acerra, che comanda il 16° Reggimento Costiero. La sera stessa dell'8, i Tedeschi si presentarono al Comando chiedendo di lui. Non c'era. Ma non era scappato. L'indomani mattina, di buon'ora, convocò i suoi soldati e li incitò a difendere l'onore dell'Italia. Ritornò l'ufficiale tedesco della sera prima a ingiungergli di consegnare le armi. Gli rispose che egli prendeva ordine solo dai suoi superiori. I Tedeschi vennero in forza, occuparono la caserma e disarmarono alcuni soldati. Il colonnello Ferraiuolo catturò a sua volta i Tedeschi e li trattenne in ostaggio. Allora ne arrivarono altri, comandati da un ufficiale superiore il quale diede al colonnello cinque minuti di tempo per arrendersi. Il colonnello rifiutò di farlo, e stramazzò al suolo, ucciso a bruciapelo dall'ufficiale tedesco.
Passando per via delle Puglie nelle prime ore del mattino (proveniva in macchina da Avellino), il generale Del
Tetto aveva ordinato ai soldati italiani che aveva incontrati, di abbandonare il posto e non « provocare » i Tedeschi.
Nessuno lo stette a sentire: la battaglia di Casalnuovo durò tre ore. Quaranta soldati (sette dei quali persero la vita), gui
dati dal tenente Gaetano Farneti, respinsero l'attacco tedesco; quindi, soverchiati, dovettero arrendersi, e i Tedeschi fucilarono sul posto il tenente. (Del Tetto sarà arrestato fra un mese, il 12 ottobre. Condannato a 20 anni di prigione, morirà in carcere di un'ulcera mai sofferta).
Ma chi erano questi Tedeschi di stanza nella zona? Quasi sicuramente erano quelli della Divisione Goering, che faceva
parte del 14° Corpo d'Armata, il cui Comando era insediato a Maddaloní.
Ma c'era anche un Gruppo di combattimento, di stanza a Napoli, comandato da un maggiore. Al comando di Napoli era
poi preposto il famigerato colonnello Scholl.
Un'altra Divisione del 14° Corpo d'Armata tedesco era la 16`, con carri armati Tigre, accampata nel salernitano: il 9 settembre questi soldati sono tutti inviati nel settore di Agropoli, a tentare di ributtare a mare gli Alleati che nella notte avevano operato lo sbarco. (I Tedeschi che avevano ucciso il colonnello Ferraiuolo appartenevano allo stesso Corpo d'Armata, ma alla 15' Divisione, con il comando a Villa Literno).
La gente capisce immediatamente come si sono messe le cose. I nemici sono i Tedeschi. I quali cercheranno ora di fare
il più gran danno, e portar via il più possibile. La cosa migliore è prevenirli. Così cominciano le appropriazioni di tutto ciò che potrà essere utile, l'accaparramento di tutto quanto è incustodito e che nessuno rivendica in proprietà. E se è roba dello Stato, dov'è lo Stato?
Il 9 stesso è svaligiata la nuova scuola elementare di Licignano: furono asportate tutte le suppellettili e qualunque cosa
avesse un valore d'uso. Fu svaligiato un magazzino di fronte alla stazione ferroviaria di Casalnuovo: un informatore che aveva allora nove anni, ricorda di aver arraffato, nella mischia, un paio di scarpe che però non poté calzare perché troppo grandi per i suoi piedi.
Un'altra raccolta, più delicata e pericolosa, fu quella delle armi. Chiunque aveva una pistola anche a tamburo, uno schioppo da caccia, un moschetto, li nascose, nei cassetti, negli armadi,
negli stiponi, nei solai, nei « suppigni », in nascondigli in casa o fuori casa; chi sapeva ripararle, si mise al lavoro. Si andò
ricuperando il materiale abbandonato dai militari sbandati: a Marigliano, ad esempio, nella zona di Boscofangone e a Faibano dove, gruppi di contadini si organizzarono in bande armate con l'intenzione di attendere sul piede di guerra i Tedeschi quando sarebbero venuti a prendersi le vacche. Non si pensava ancora che potessero venire a prendersi gli uomini! Altrove si lavora un po' più in regola. A Nola, ad esempio, nascondono e prendono contatti con antifascista e studenti il sottotenente dei Carabinieri Giuseppe Pecorari e il sacerdote don Angelo D'Alessio.
Siamo al 10 settembre. Verso mezzogiorno nassa per Nola una autocolonna tedesca diretta verso Cimitile. Dinanzi al deposito del 48° artiglieria, al Palazzo Mottola, dei Tedeschi puntano i mitra contro due ufficiali italiani, ingiungendo loro di consegnare le armi. Intervenzono nostri soldati, e i Tedeschi si ritirano sul camion da dove lanciano delle bombe a mano. Inizia un combattimento in piena regola, finché il colonnello Michele De Pasqua dà ordine ai suoi di sospendere il fuoco e rientrare in caserma (la caserma Principe Amedeo). 1 Tedeschi restano fuori e prendono posizione. Esce dalla caserma una delegazione di ufficiali e soldati italiani, senz'armi, e con una bandiera bianca in cima a una canna. L'intenzione è di parlamentare e di chiudere l'incidente. Invece i Tedeschi proditoriamente sparano e uccidono due dei nostri (un soldato e il tenente Odoardo Carelli): gli altri fanno in tempo a mettersi in salvo in caserma trascinandosi indietro i morti. Alla vista dei quali, nel cortile, la truppa tumultua e chiede di uscire a combattere. Il colonnello li calma. Trascorrono alcune ore in un'attesa pesante. I Tedeschi tolgono il blocco. All'improvviso passa correndo una camionetta tedesca mitragliando verso la caserma. I nostri rispondono al fuoco: il conducente è ucciso e l'altro è fatto prigioniero. E' il pomeriggio inoltrato. In segno di buona volontà, il colonnello rilascia il prigioniero perché parlamenti lui con i suoi, e li convinca a liquidare l'increscioso equivoco.
È l'alba del giorno dopo, 11 settembre. Giunge dal Presidio in caserma lo stranissimo ordine di consegnare tutta la
benzina ai Tedeschi. Il colonnello allora incarica gli ufficiali di trattenere i soldati nelle camerate perché non intervengano
e non provochino i Tedeschi, i quali entrano e, per prima cosa, disarmano il corpo di guardia e catturano il colonnello. Sotto la minaccia delle armi, egli è poi costretto a ordinare ad alta voce ai suoi soldati di scendere nel cortile senza le armi. L'intero reggimento è fatto prigioniero. Tutti gli ufficiali sono messi in fila da parte: sono un'ottantina. I Tedeschi ne scelgono 10, compreso il colonnello, e li uccidono con un colpo alla nuca per vendicare il commilitone morto la sera prima. Sono quelli della Divisione Hermann Goering, che « così punisce i traditori ». Poiché un contadino, Giuseppe Napolitano, espresse ad alta voce la sua indignazione, i Tedeschi lo uccisero a colpi di baionetta e lo lasciarono esposto per tre giorni, fino al 14. Essi si giustificheranno poi con la scusa di sabotaggi che sarebbero stati commessi da civili nei giorni precedenti. Ora, l'unico atto di una certa importanza, era stato l'ingenuo e fallito tentativo di alcuni popolani di attaccare una batteria tedesca a Marigliano, il giorno prima. In realtà, erano ordini premeditati e impartiti direttamente da Kesselring, il quale proprio quella mattina dell'11 settembre emana la famosa ordinanza in dieci punti.
Il territorio dell'Italia a lui sottoposto (cioè tutto il sud non ancora occupato dagli Alleati) è territorio di guerra in cui
valgono le leggi tedesche di guerra; tutti i delitti contro le Forze Armate Tedesche sono giudicate secondo il codice mili
tare tedesco; scioperanti, sabotatoci e franchi tiratori saranno fucilati; gli operai che si metteranno a disposizione dei Tedeschi saranno trattati e pagati come i Tedeschi (è la più oscena delle disposizioni: non per niente è il « sesto comandamento » di questo decalogo). Si intensifica perciò la caccia ai militari italiani isolati che diventa sistematica e poi si allarga ai civili: così comincia la razzia degli uomini e la deportazione in Germania. Quel giorno 11, il « coraggioso » comandante Del Tetto (che due giorni prima, all'altezza di Casalnuovo, aveva sconsigliato gli Italiani di opporsi ai Tedeschi), si veste in borghese e va a nascondersi in un convento di Palma Campania.
 Domenica 12 settembre è la festa della Madonna.
Esce a Napoli il proclama del colonnello Scholl, che ordina la consegna di ogni tipo di arma, e il coprifuoco dalle 8
di sera alle 6 di mattina: « Sono costretto ad adottare le suddette draconiane misure in seguito al fatto che molti ufficiali e soldati germanici... sono stati vilmente trucidati »• In risposta, i Napoletani cercheranno di difendersi dove e come possibile, perfino contrattaccando.
Ad Acerra, Afragola, Casalnuovo, Castelcisterna, Pomigliano, dappertutto cominciano le requisizioni. I Tedeschi prendono tutto: macchinari, automezzi, bestiame, generi alimentari, biancheria, oggetti di valore, denaro, uomini... Cominciano ad abusare delle donne.
Scherniscono gli Italiani chiamandoli « traditori »; e a chi protesta per le ruberie, rispondono:« Fatti pagare da Badoglio!».
Ad Acerra, i Carabinieri smettono di stendere rapporti: il loro archivio presenta un vuoto esattamente dal 12 settembre
al 17 ottobre. Esso si spiega con la non convenienza di lasciare tracce di fatti che si sarebbero potuti interpretare poi in maniera imprevedibile. Forse l'ordine sarà stato dato dallo stesso maresciallo Pietro Zaccone (che sarà sostituito dal maresciallo De Martino agli inizi del '44) il quale si rende conto dell'impossibilità e dell'assurdità di cooperare con il Comando Tedesco contro gli Italiani; e sa anche che l'appuntato Truoccolo è in contatto con il nucleo storico degli antifascista. La popolazione preme per avere le armi. Qualcosa si sta muovendo in paese.
Un gruppo di giovani, con alla testa Ferdinando Goglia, affronta in via Roma i Tedeschi che stavano sequestrando la
macchina di Cuono Picardi, e ne li fanno desistere. Goglia sostiene di avere sparato e ferito il maresciallo tedesco che
venne preso e consegnato ai Carabinieri, i quali lo liberarono.
Alcuni negano questo fatto; altri, più severamente, lo giudicano una colpevole provocazione. Comunque, i Tedeschi si mettono sulle sue tracce e pongono una taglia di 20.000 lire (di allora!) in premio a chi consegni « il bandito Ferdinando Goglia, vivo o morto » che si nasconde, con il suo gruppo, nelle campagne di Cancello. L'indomani è ordinato il coprifuoco anche ad Acerra: il banditore comunale è mandato in giro ad avvertire la popolazione e a comunicare l'ordine dei Tedeschi di consegnare le armi.
Alla stazione ferroviaria, nel pomeriggio del 13 avviene un gravissimo fatto. Saputo che nei vagoni-merce c'era del
legname, la gente va a prenderselo. (Più tardi, questo sistema, avrà un nome: « o bbaide » — forse dall'inglese « to bite » —; ma per ora, l'appropriazione di questa legna è dettata dalla necessità di combustibile per il magro desinare). Giunge un ma resciallo tedesco che intima alla gente di andar via e spara prima in aria, poi nel mucchio: è colpita alla nuca una ragazza di 16 anni, Gilda Ambrosino, che rimane morta, riversa sulla massicciata dei binari. In seguito, la voce pubblica criminalizzerà un ragazzo, Giuseppe Di Lorenzo, che avrebbe avvertito il maresciallo tedesco col quale aveva fatto amicizia e che alloggiava nel fabbricato dei Di Giovanni, commercianti di cereali: ma non ci saranno mai prove, sicché sarà stata una assai ingiusta calunnia forse scusabile solo col desiderio di trovare qualche capro espiatorio.
Due giorni dopo, il 15, ci sarà la famosa riunione « o Murillo e chiummo ». A quanto dice Goglia, un colonnello del
Regio Esercito, di Nola, si atg,9g irava per la periferia di Acerra su un gran cavallo bianco, alla ricerca di giovani animosi disposti ad organizzarsi per battersi contro i Tedeschi. Ora, i colonnelli di stanza a Nola, erano due: uno, Michele Di Pasqua, era stato ucciso, come abbiamo visto, quattro giorni prima dai Tedeschi; dunque, se non si vuole mettere in dubbio la testimonianza così tenacemente riproposta da Goglia, quello del cavallo bianco potrebbe essere solo Amedeo Ruberto. Questo colonnello si imbatte dunque nel gruppo di Goglia (una dozzina di per sone). Si fa girare la voce fra altri possibili giovani di vedersi nel pomeriggio del 15, prima del coprifuoco, in un luogo asso lutamente disabitato e disagevole nei campi, detto « o Murillo e chiummo » (secondo altri, forse più propriamente « o Murillo e chiuppo », per i pioppi che una volta dovevano esservi) sulla strada fangosa e polverosa (secondo le stagioni) tra la contrada detta Serino e il Mulino Vecchio. Alla riunione si presenta un'incredibile quantità di persone: per lo più anziani contadini, e perfino donne. « Ma scusate, ma arò fiate? ». « Iammo a riunione contro e Tedesche! » (t proprio la stessa espressione che sarà la parola d'ordine di Lanciano insorta dal 4 al 6 ottobre: « lame, iame a la guerra! »). Goglia salì sul muretto e sciolse il raduno. Tutti lo videro; tutti sapevano della taglia: nessuno lo denunziò. Il colonnello, deluso perché aveva sperato in un gruppo di giovani mentre s'era visto arrivare file di anziani e di vecchi, se ne andò sul suo cavallo bianco... « e nun se verette cchiù! ».
Il 16, gli Alleati vengono a capo dell'accanita resistenza tedesca, ed occupano Salerno. La provincia di Napoli diventa
campo di battaglia tra i Tedeschi in ritirata e gli Alleati che avanzano.
Il 17, una ventina di quei soldati del 48' artiglieria di Nola che, sei giorni prima, erano stati disarmati dai Tedeschi
nella caserma e poi abbandonati a se stessi, si trovavano a Marigliano,
forse aspettando che passasse la furia della guerra per puntare verso la Sicilia da dove provenivano. I Mariglianesi li
avvertirono che c'erano i Tedeschi, ed essi si dispersero per i vicoli. Ma uno di essi, uscendo dal vicolo S. Antonio, incappò in una pattuglia tedesca: in un lampo gli furono addosso e lo ammazzarono, infierendo anche sul cadavere. Allora gli altri soldati, con l'aiuto di civili, fecero fuoco contro i Tedeschi che si rifugiarono nella scuola dove erano accampati. Poi alzarono bandiera bianca, promettendo di andarsene prima di sera. Invece vennero altri Tedeschi con camions e carri armati, liberarono i commilitoni asserragliati nella scuola, e occuparono tutto il paese. I soldati italiani scapparono per i campi.
Il 19 settembre i Tedeschi hanno l'ordine di ripiegamento, secondo la tecnica della « ritirata aggressiva », sulla linea Gustav.
La nostra zona doveva essere evacuata: ma bisognava fare la terra bruciata (« fango e cenere » — come aveva ordinato Hitler) dinanzi agli Alleati avanzanti.
A Pomigliano è smantellata l'Alfa, o piuttosto ciò che rimaneva di essa, dopo i bombardamenti e i decentramenti (una
sezione era stata da tempo allogata in una cava di Marano, la Cupa Dormiglione; un altro reparto era stato sistemato in
altre caverne a S. Rocco di Capodimonte ... ). I Tedeschi, uccisi i guardiani, penetrarono nella fabbrica e saccheggiarono, lasciando solo pezzi inutilizzabili che furono poi presi e nascosti dai Pomiglianesi, e mai più consegnati.
Ad Acerra, i Tedeschi liberarono centinaia di maiali dall'allevamento della « Purchiera », i quali si sparpagliarono per
i campi, ben presto inseguiti dagli Acerrani cui venne l'ovvia idea di catturarli. Dopo l'eccidio, qualcuna di queste bestie farà in tempo a cibarsi di carne umana.
Il 20 settembre ad Afragola, è ucciso senza motivo un ragazzo che seguiva il funerale di sua sorella.
Ma altri si armarono. A Casamarciano, ad esempio, proprio quel giorno, dei civili guidati da Giovanni Fiumarae da
Ciro Vitolo di Nola, ricuperarono dal Municipio 200 fucili che i Tedeschi avevano a loro volta sottratti al Comando del 19° Corpo d'Armata.
Intanto, la squadra di Goglia s'era spostata a Cancello dove, in barba ai Tedeschi, era riuscita a sottrarre dai vagoni
fermi alla stazione, cassette di munizioni, di bombe a mano, e di armi. Il materiale fu trasportato di notte, su una carretta
tirata da un asino di Giuseppe Liparulo, e avviato ad Acerra e dintorni attraverso la via del Serino. Fu nascosto sotto i Ponti (per esempio « o Ponte e Fratielle »), allo « Spiniello », e in vari forni e orti di Acerra. Questo si poté fare con la collaborazione di un ferroviere, un certo Simone, che riuscì anche a far evadere Goglia, che era stato scoperto proprio mentre spiombava un carro, e trattenuto dai Tedeschi. Ma in verità di trattava di Austriaci i quali, per numerose ragioni si comporta vano assai diversamente dai loro commilitoni germanici.
Il 23 settembre il prefetto Soprano (che già riceveva ordini e collaborava con Kesselring sin dalla sera del 12) firma
l'ordinanza « per il servizio obbligatorio al lavoro nazionale ».
Termine per la presentazione: 48 ore. Si trattava di essere deportati in Germania: « Non è necessario che abbiate passaporto per lasciare l'Italia... ». Su 30.000 richiamati, si presentarono (o « furono presentati »?) 150, cioè lo 0,5 per cento. I Tedeschi saltarono su tutte le furie. Ormai gli Alleati puntavano su Avellino: bisognava far presto.
Fu dato l'ordine ufficiale di rastrellare: ma i rastrellamenti si compivano già.
A Pomigliano, tre Tedeschi, con un informatore locale (un certo Beltrani) cominciarono da via Abate Felice Toscano. Ci
fu un fuggi-fuggi generale. Il giovane Franco Tranchese si ri
fugiò su un campanile: il parroco, don Giuseppe Campanaro,fu minacciato di deportazione. Spararono a un altro giovane,
Luigi Marino, che pure scappava, ma che credevano fosse quello del campanile che, nel frattempo, si era messo in salvo. Allora ritornarono dal parroco e lo fecero salire sul camion insieme agli altri razziati (nelle ore successive, la giovane Maria Rosa Antignani, lo aiutò ad evadere).
All'alba del 26, alla stazione di Nola, due fratelli: Raffaele e Costanzo Santaniello (rispettivamente di 14 e di 21 anni),
con un loro amico ventottenne, Antonio Mercogliano, sabotano il Comando tedesco tagliando i fili del telefono. Le sentinelle sparano, e solo il più piccolo riesce a salvarsi, per quanto ferito. È la vigilia delle Quattro Giornate di Napoli.
A Marigliano, il podestà gira per le case invitando la gente a un comizio. Invece vengono i Tedeschi, scelgono i più validi
e li portano via sui camions (è la vendetta che si prendono sui fatti del 17). Rastrellamenti e deportazioni anche a Castelci sterna, a Licignano, a Casarea, a Casalnuovo. I razziati vengono convogliati verso Pomigliano e Acerra, dove si aggiungono quelli catturati sul posto. A Pomigliano 15 uomini furono scoperti nella cantina di Felice Coppola, dove si erano rifugiati. Un paio riuscirono a fuggire durante la notte. La notte, appunto, la si trascorreva nascosti e in gruppi di 20-30 persone.
I rastrellati di Afragola venivano invece avviati verso Caivano. Solo pochi avranno la fortuna di tornare dalla Germania:
è il caso del dottor Francesco Casillo, ora defunto. Cominciò quindi la distruzione sistematica dei guastatori. Alle stazioni
ferroviarie di Cancello e di Acerra fu appiccato il fuoco a tutti i vagoni, e fatto saltare i binari con le mine. Mine anche sul
campo d'aviazione di Pomigliano. L'opera di devastazione era già completa la sera del 28 settembre, nonostante la pioggia insistente durata sin dalla mattinata e il violento acquazzone alla fine del pomeriggio. Durante la notte, una sessantina di giovani armati attaccano le colonne tedesche in transito nella zona tra Tavernanova e Casalnuovo.
Sono quelli di Mauro Errichiello. Il 30 è l'ultima delle Quattro Giornate: alle 5 del mattino Scholl è già partito. Gli Alleati hanno raggiunto Nocera e Pompei. Le truppe tedesche si avviano a lasciare Napoli su due direttrici: quella costiera in direzione di Formia-Gaeta, e quella interna verso Caserta-Cassino. Fuori la cinta daziaria di Napoli, il primo importante centro che incontrano è Acerra: qui ritarderanno finché possibile l'arrivo degli anglo-americani. Costoro puntano sulla nostra zona direttamente da Avellino verso Nola, e lateralmente aggirando il Vesuvio alla base lungo la strada
Pompei-S. Giuseppe Vesuviano-Ottaviano.
La retroguardia e i guastatori tedeschi si scatenano. Girano portando solo la distruzione col fuoco e la morte col
piombo, dato che non possono più portar via con sé né roba né uomini. A Pomigliano uccidono una bambina dinanzi agli
occhi della madre. Stanno anche per uccidere un altro bambino di 9 anni, Gildo Panico, rimasto atterrito sul portone di casa sua, a via Carmine Guadagni, alla scena dell'uccisione di un uomo, Carmine De Cicco, colpito da una raffica tedesca: per fortuna un altro tedesco fermò quel diavolo, e quel bimbo fu salvo.
In una Masseria nella campagna di Acerra, violentarono la moglie del padrone che poi uccisero; quindi amputarono la mano di un ragazzo ed evirarono un altro.
Alle nove e mezza di mattina del 1° ottobre, gli uomini della V Armata entrano in Napoli. Ma i Tedeschi sono ancora
a S. Paolo Belsito dove bruciano vandalicamente e deliberatamente l'Archivio di Stato di Napoli; a Marigliano che evacuano dopo aver appiccato incendi in tutta la zona del centro; a Nola dove però sono ostacolati nell'opera di minamento degli edifici da un deciso gruppo di partigiani (l'intera famiglia dei Franzese, e due Caliendo) che riescono anche a disinnescarle (ventuno in tutto); a Pomigliano dove ancora catturano Domenico Sibilio, e uccidono Elia De Falco a Piazza Mercato. A Casalnuovo, centinaia di contadini, si armano e inseguono o si difendono dai Tedeschi in ritirata.
Ormai la zona che rimane ancora in mano tedesca è proprio quella della nostra ricerca.
Il 1° e il 2 ottobre sono i giorni più lunghi per tutti questi paesi, e certamente i più tragici per Acerra.
Goglia e il suo gruppo vedono, di tra gli steli alti del granoturco, fra i quali erano nascosti e appostati, d'improvviso
levarsi altissimo fumo e fiamme da Acerra. Erano i guastatori tedeschi al lavoro: il loro compito era di distruggere qualsiasi
palazzo o palazzetto o casa in cui potessero trovare alloggio e comodamente acquartierarsi gli anglo-americani, al loro arrivo imminente.
Il gruppo corse ad Acerra. Lungo i due lati delle strade principali deserte, file di SS armati fino ai denti procedevano
con germanica meticolosità, sfondavano porte e portoni, lanciavano liquido infiammabile, quindi delle bombe a mano: e il
fuoco divampava improvviso e violento. Se qualcuno si affacciava alle finestre, era ricevuto con sventagliate di mitra. Al
cuni penetravano nelle case e ne tiravano fuori gli abitanti che incolonnavano dinanzi a loro. Da una strada laterale, proveniva un motofurgone Guzzi con tre Tedeschi uno dei quali guidava; un secondo, semisdraiato, le gambe appoggiate ad una sbarra, cantava a squarciagola Lilì Marleen, strimpellando su un mando lino; mentre il terzo, imbracciante il mitra, svolgeva ridendo il suo compito di morte. I partigiani accolsero il furgone a colpi di bombe a mano: erano le Breda, quasi inefficaci, che per giunta non colpirono il bersaglio. Ma i Tedeschi abbandonarono il mezzo e scappando attraverso una casa cui avevano appena dato fuoco, raggiunsero un'altra strada parallela finché non incontrarono un loro carrarmato. Intanto, i partigiani s'erano impadroniti del furgone, alla cui guida si mise il giovane Gennaro Marciano, e andarono per il corso Diaz, incitando la popolazione alla lotta, e incoraggiandola: « Verite, chiste nun fanno paura a nnisciuno: difendiamoci! non vi fate acchiappare! ».
In un attimo, la strada prima deserta si riempì di popolo; grappoli di giovani pendevano dal motofurgone, gridando: « Vivò! Vivò! » (Evviva! Evviva!). Ma, appena si sentirono colpi di cannoncino sparati dal Tigre, la strada ritornò deserta in un baleno, e sul motofurgone restarono i soli partigiani. Essi decisero subito di farlo sparire, in modo da non dare ai Tedeschi la giustificazione per qualche loro rappresaglia nella zona. Fu subito spinto nel più sicuro « giardino », quello dell'Episcopio; lì fu velocemente scavato un fosso, il furgone messo dentro, ricoperto di terra e perfino di broccoli « summenate a coppa! ».
Intanto, una fila di uomini razziati veniva spinta verso Piazza S. Pietro. Tra costoro, era stato preso anche un prete,
don Tommaso Canfora, che si sospettava di aver nascosto o fatto nascondere dei giovani nella chiesa del Purgatorio, di cui era parroco. A questa notizia, il Vescovo, che fin allora era rimasto prudentemente al Vescovato, uscì per implorare la liberazione del reverendo ostaggio. Fu messo pure lui a sedere per terra, insieme agli altri, dopo aver avuto un paio di schiaffi da un tenente delle SS. L'opera dei guastatori continuò indisturbata fino al primo pomeriggio. Furono dati alle fiamme almeno 50 palazzi, tra cui: quello di Forgione, il Palazzo Castaldo, il Palazzo Puzone, il Palazzo Nuzzo, il Palazzo Panico, il Palazzo Lupoli, il Palazzo Radice, il Palazzo Calzolaio, il Palazzo della Singer, il Palazzo Petrella, l'Ufficio delle Imposte di Consumo, l'Esattoria Comunale, lo stesso Palazzo del Fascio, e il Castello Baronale sede del Comune. I circa 200 rastrellati, tranne il Vescovo, furono tutti avviati a piedi verso Caivano. Fra di essi c'era Espedito Mormile (che morrà in Germania), don Tommaso Carfora, il farmacista Cortese, ortese, il dottor Mariniello dell'Ospedale Militare, un soldato della Croce Rossa, Domenico Caruso e un suo vicino di casa. Lungo la strada, uccisero un povero acerrano, divertente e monco di un braccio, che tutti conoscevano col soprannome di « o Russo ». I prigionieri passarono la notte all'addiaccio, alla stazione tranviaria di Caivano e quindi furono avviati al Nord. La sera, gli Inglesi sono giunti a S. Maria del Pozzo: il maresciallo Raffaele Piccolo ed altri 7-8 pomiglianesi vanno loro incontro nella speranza di guidarli
a Pomigliano come staffette.
Durante la notte ci furono scontri tra partigiani e Tedeschi a Nola. All'alba del 2, arrivano i Tigre, e la faccenda è momen
taneamente chiusa.
A Pomigliano quel giorno continuano i rastrellamenti o piuttosto le uccisioni (sono trucidati Domenico De Cicco e Ciro Esposito), e inizia anche qui il minamento dei Palazzi: Villa Sbrescia, Palazzo Palmese, Palazzo Moscariello, Palazzo Cantone sotto le cui macerie muoiono un povero ragazzo di 14 anni (Giovanni Flavia), il sacerdote Angelo Massaro Marini insieme ad una sua nipote. Ma sono ormai gli ultimi istanti di terrore e gli ultimi morti. Ferdinando Manno e Vincenzo D'Onofrio saltano sulle biciclette e ingenuamente inseguono i Tedeschi che raggiungono al Ponte sui Lagni, e là vengono uccisi.
Guidati dal gruppetto di Pomiglianesi andati loro incontro, gli Alleati da S. Maria del Pozzo, dopo una breve sosta alla Masseria Castaldo, entrano in Pomigliano dal Passariello.
Pomigliano è libera!
E' il pomeriggio del 2 ottobre.
Acerra, invece, sta trascorrendo le ore più tragiche e dolorose.
I Tedeschi dalla mattina hanno preso ad ammazzare sistematicamente chiunque incontrano o riescono a scovare. Nell'ultima retroguardia: sono in tutto una cinquantina di militi con tre (forse quattro) carri Tigre e delle autoblindo: col passare delle ore controllano una fascia sempre più ristretta di territorio che l'indomani mattina si ridurrà all'esigua striscia tra Acerra, Cancello e Maddaloni che permetterà loro di raggiungere gli altri nell'alto Casertano, prima che la macchia d'olio degli Alleati si chiuda alle loro spalle.
Avvengono le scene più orribili, e le più ingenuamente epiche.
I contadini fanno con i loro carri agricoli delle barricate che sarà un gioco per i Tigre far saltare per aria con qualche colpo di cannoncino. Ma è anche vero che questo fu l'intervento popolare più spontaneo e meno strategico che sia.
Pirolo, invece,aveva preparato un piano: supponendo che i Tedeschi avrebbero percorso un'altra strada, aveva fatto alzare una sola barricata appena voltato l'angolo tra via Soriano e il Corso Vittorio Emanuele, in modo che scattasse l'effetto sorpresa e i Tedeschi venissero fatti segno ai colpi dei partigiani appostati ai quattro angoli al livello della strada e da sopra i tetti. In questo frangente, corrono a chiamarlo perché intervenga presso il maresciallo dei Carabinieri che si ostina a non consegnare le armi.
Si va tutti insieme alla Caserma; le armi sono consegnate.
La gente si sparpaglia.
Giunge trafelato Giovanni Pasturo in bicicletta ad avvertire che si combatte al corso Garibaldi.
Nello scontro qualche Tedesco rimase almeno ferito. Di certo morì Giovanni Piscopo, detto « Cuollo e papera » per la ferita alla gola ricevuta mentre si sporgeva da un vicoletto di Piazza Duomo;
si ferì per una bomba a mano che gli esplose all'altezza del pube il giovane Pietro La Montagna (il padre fu visto tentare disperatamente di attraversare la linea del fuoco per trasportare su un carrettino suo figlio sanguinante, all'Ospedale). Combatterono e tennero testa per alcune ore ai carri armati Ferdinando
Goglia, Nicola Finaldi, Tonino Mocerino, Nicola D'Addio detto Gnaù, Francesco Giuliano, Tommaso Andreozzi, Angelo Castaldo, Olindo Tortora, Guido Nuzzo, Cuono Nuzzo, Gennaro Esposito, Enrico e suo figlio Enzo Pirolo, Giovanni Vasaturo, Giuseppe Loffredo, Ignazio Caruso, Pasquale Marciano, Amedeo
Tufano, Vincenzo Mazzullo, Gaetano Panico, Pasquale Attanasío...
Erano: vecchi antifascisti, convinti democratici, ex fascsti, generosi altruisti, esasperati emotivi, opportunisti, convertiti dell'ultima ora e di quella successiva...! Alcuni si pentiranno, o si vergogneranno di un momento di partigianato; altri se ne vanteranno oltre l'obbiettività...
La Resistenza, qui come in tutta Italia, è stata anche questo. Ma qui non ci sono stati gli ingiustificabili episodi di mattanza fratricida che si sono verificati altrove, soprattutto nel Nord — tranne, ovviamente, quelli commessi dai Tedeschi su tanti Acerrani inermi, quel piovoso e interminabile sabato del 2 ottobre: un tedesco che pedina un ragazzo uscito a prendere dell'acqua per quelli nascosti con lui in una cantina: sono fatti uscire uno ad uno e sparati in bocca; il vecchio prima amputato a colpi di bombe a mano e poi bruciato vivo; il contadino ucciso insieme ai due figli che cercava invano di proteggere con il suo corpo; il bambino squarciato con la baionetta tra le gambe della madre; il fascista ucciso e sputato addosso proprio perché fascista; l'uomo sparato alle spalle e poi sventrato a colpi di pugnale...
Alla fine, si conteranno ben 87 cadaveri, 75 dei quali acerrani (l’88° vittima era stata Gilda Ambrosino).
Di questi 75, 15 erano donne e 60 uomini: 7 avevano da 1 a 9 anni, 18 da 13 a 20 anni, 5 da 22 a 29 anni, 20 da 31 a 50 anni, 8 da 52 a 60 anni, 17 da 61 a 72 anni.
Ma ammesso che alcuni fossero stati responsabili di gravi delitti di lesa-germanicità, che cosa potevano aver commesso Gennaro Auriemma e Maddalena De Sena, rispettivamente di 1 e 2 anni di età? di quale reato si erano macchiati Raffaele Travaglino, Giovanni De Sena (la sorella di Maddalena) e Francesca Raia, di quattro, cinque e sei anni? quale guerra stavano facendo al Terzo Reich Laura Massaro e Vincenzo Cardellino, entrambi di nove anni?
C'è chi dice, senza provarlo, che i Tedeschi erano stati provocati. Ammettiamolo. È sufficiente una provocazione, anche la più grave, a giustificare l'uccisione di bambini, di lattanti, magari squartandoli come meno che galline? E non sono invece simili barbarie delle eterne provocazioni alla coscienza umana? Non si mettono automaticamente dalla parte del più gran torto quelli che commettono simili turpitudini, quand'anche
avessero cominciato con l'avere le più indiscutibili ragioni di questo mondo? E non era meglio, a conti fatti, non essere alleati o amici di tanti scellerati? Non è un vanto aver fatto loro la guerra, quand'anche ci fossero stati il doppio e il triplo di morti?
Gli Alleati giunti a Pomigliano, dal centro, avevano dilagato nella campagna. Sulla strada per Acerra, però, si erano fermati dinanzi al Ponte Villanova sui Lagni (il Ponte delle Portelle), che era stato minato (chi sostiene dagli Acerrani stessi per impedire che di là affluissero altri Tedeschi, chi invece dai Tedeschi nell'intento di ritardare l'avanzata alleata.
Noi propendiamo per questa seconda tesi). Una squadra dell'avanguardia avanzò a piedi e raggiunse la periferia di Acerra, ma ne fu respinta dai fucili a cannocchiale di pochi Tedeschi appostati.
Dei contadini videro la scena e, mentre i Tedeschi si allontanavano, andarono incontro agli Alleati. Si trovò subito un interprete (uno di quei « Mericani » di cui abbiamo parlato) e insieme si ritornò al Ponte dove c'erano i cingolati alleati bloccati.
Gli Anglo-americani non avevano fretta e, per maggiore prudenza, disarmarono gli Acerrani i quali se ne tornarono avviliti ma con la bellissima notizia che ormai solo un guado li divideva dalla fine dell'incubo.
Era scesa la sera: non conveniva avventurarsi di notte con il pericolo di qualche Tedesco ancora in giro.
Alle prime luci dell'alba, però, una marea di gente si avviò al ponte spingendo ogni tipo di carretta e trasportando ogni genere di badili e di utensili.
Si colma il fossato sotto gli occhi sbalorditi e ancora assonnati dei carristi alleati.
Ora bisogna passare. Ancora un po' di attesa per l'ordine di avanzare, e finalmente si parte!
I primi Alleati fanno il loro ingresso in Acerra verso le 10 di quella indimenticabile domenica.
L'intera colonna giunge verso le 15. Ma nel frattempo c'è stato un altro (l'ultimo) morto: il campanaro, corso tutto festante a suonare a distesa, al primo tocco di campana, era saltato per aria con tutto il campanile che era stato minato dai Tedeschi.
Acerra è tutto un cumulo di rovine fumanti. Le strade sono un carnaio.
C'è ancora un terribile cannoneggiamento: batterie alleate da Tavernanova sparano, snidano, inseguono, salutano gli ultimi Tedeschi in ritirata.
Un altro giorno è passato.

1 commento:

  1. Potrebbe farmi avere un pdf della pubblicazione. La ringrazio in ogni caso. Gianni Cerchia

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