domenica 9 giugno 2013

L’affare Alfa: la controversa vendita dell’Alfa Romeo alla Fiat.“Pomigliano industriale: una questione settentrionale”

da Dedicato a Pomigliano d'Arco (Note) Lunedì 28 maggio 2012 alle ore 20.34


L'Ing. Gianni Agnelli
 


L’affare Alfa: la controversa vendita dell’Alfa Romeo alla Fiat.

Evento “Pomigliano industriale: una questione settentrionale”

L’Alfa Romeo stava per essere ceduta alla Ford nella seconda metà del 1986 a seguito di una offerta giunta dopo diversi mesi di trattative con l’IRI e la Finmeccanica.  Alla fine dello stesso anno fu invece venduta alla Fiat (che precedentemente ne aveva rifiutato l’acquisizione gratuita con una dote di 500 miliardi di lire in base all’offerta fatta da Finmeccanica, proprietaria della casa del biscione). A pag.53 del libro “Licenziare i padroni?” di Massimo Lucchetti, Feltrinelli Editore, 2004, leggiamo : “La stessa acquisizione dell’Alfa Romeo venne decisa semplicemente per impedire alla Ford di mettere piede sul mercato italiano. E la vera storia di quella mossa difensivamette in lucele responsabilità della Fiat più di quelle della classe politica contro la quale è troppo facile sparare. A quattordici anni di distanza dai fatti, Romano Prodi, accredita la versione della Fiat che si prende l’Alfa Romeo grazie alle pressioni esercitate sul venditore, che era Finmeccanica, società del gruppo IRI allora presieduto dallo stesso Prodi. “Io volevo vendere l’Alfa Romeo alla Ford, ma fecero di tutto per impedirmelo, e ci riuscirono. Invece se ci fosse stata più concorrenza interna, oggi starebbero tutti meglio: di certo starebbe meglio l’economia italiana, ma anche la stessa Fiat” ha confidato a “Repubblica” l’attuale presidente della Commissione Ue (l’articolo citato è di Federico Rampini, Il tramonto del Lingotto-pdrone, troppo potere, poca concorrenza. La Repubblica del 4 Ottobre 2002 Ndr).


L’affare Alfa (che di seguito riportiamo) è un capitolo tratto dal libro “Tutto in Famiglia” di Alan Friedman, Longanesi &C, 1988. La Pagina “Dedicato a Pomigliano d’Arco” ritiene che la migliore presentazione di questo “affare” sia la nota dell’autore da cui traiamo la parte iniziale. Per il resto questa controversa storia dovrebbe essere solo letta. Il libro, anche se con difficoltà, si trova ancora in commercio utilizzando soprattutto ricerche on line. In questo capitolo, unitamente alla storia del Sagittario II dell’Aerfer già pubblicata precedentemente, risiedono le motivazioni che ci hanno indotto a definire Pomigliano industriale una questione settentrionale, e cioè la mal sopportazione e la non tolleranza della concorrenza di una Pomigliano industriale da parte della Fiat, prima nel settore aeronautico e poi in quello automobilistico. Le figure sono tratte dal libro stesso, dagli album della pagina Dedicato a Pomigliano d'Arco e da ricerche in internet e wikipedia.
In Appendice I riportiamo tutti i  modelli di auto pordotti nello stabilimento di Pomigliano d'Arco (fonte Wikipedia), dalla sua nascita fino all'avvento della Nuova Panda


1968. Fidel Castro con la rivoluzionaria Alfa Romeo 1750 a L'Avana

Nota dell’autore Alan Friedman (In "Tutto in Famiglia” , Longanesi &C, 1988)

Per questo libro (Tutto in Famiglia. Ndr)ho cercato di intervistare Gianni Agnelli, ma lui ha rifiutato. Sono in Italia, come inviato del Financial Times di Londra, da cinque anni; in questo periodo ho incontrato Agnelli in varie occasioni - conferenze stampa, convegni, cene formali e così via - e sempre mi è apparso un uomo bene informato e pieno di charme. Da una lettera che mi è stata scritta il 25 marzo 1988, sei mesi dopo la mia prima richiesta che mi fosse concessa un’intervista, ho appreso che secondo Agnelli l’incontro da me richiesto sarebbe stato « attualmente inopportuno e neppure desiderabile >>.


Dopo questa lettera, un uomo degli uffici stampa della FIAT ha chiesto a un mio collega di Roma informazioni e la data di pubblicazione di quello che ha definito "quel maledetto libro di Friedman".

Alan Friedman

La mia intenzione originale era scrivere un libro sulla "nuova Italia ", ma più ci lavoravo, più mi appariva chiaro che subito sotto la superficie di questa Italia " nuova" c’è una rete di potere feudale, e quindi piuttosto "vecchia" per non dire arcaica - le cui fila fanno capo a Gianni Agnelli. Così, ho concentrato i miei sforzi su questa straordinaria struttura di potere e sulle sue connessioni internazionali, approfondendo le mie ricerche sull’argomcnto.
Sennonché, in Italia non si indaga su Gianni Agnelli: è semplicemente una cosa che non si fa. Mentre il mio lavoro procedeva, vari uomini politici di primo piano, alti dirigenti d’azienda e direttori di giornali mi informarono che il libro non era « gradito >> a Torino.

1921-22. Alfa Romeo 20-30 ES Torpedo

Più tardi, il mio editore italiano e altre persone mi dissero che a Milano e a Roma circolavano voci secondo le quali ero, variamente,"un agente della CIA" oppure stavo facendo «lavoro sporco per il partito socialista di Craxi». Questi commenti sono un pittoresco esempio di quanto sia difficile per la mentalità italiana accettare il fatto che un giornalista americano che lavora in Italia per un giornale inglese possa semplicemente trovare interessante un argomento e - non "commissionato» da nessuno, senza speciali contropartite - mettersi a svolgere un’indagine in proposito.
 
1951. Alfetta , Alfa romeo 158.
  

C’è un antefatto a tutto questo: due mesi dopo che il libro era stato annunciato, alla Fiera del Libro di Francoforte del 1987, la FlAT aveva querelato per diffamazione me e il Financial Times. Il fatto senza precedenti era che si trattava di un’azione giudiziaria di carattere penale e non civile. Riguardava un articolo concernente il famoso « affare Telit », ma molti amici italiani la inteipretarono come un da parte della FIAT, una specie di indiretto tentativo di intimidazione. Non ho la minima idea se questa interpretazione corrisponda o no al vero, ma in ogni caso ho proseguito nella stesura del libro, avendo già completato ampie ricerche in Italia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera e Francia.  

1929. Alfa Romeo Super Sport


Il mio giudizio sull’azienda FIAT rimane quello che è sempre stato: qualunque cosa possa avere scoperto, continuo a credere che sia, sotto vari rispetti, una delle aziende meglio gestite d’Europa. Nello scrivere “Tutto in famiglia” ho semplicemente voluto seguire alcune piste che avevo incrociato, nella tradizione di quello che da noi si chiama
" investigative journalism".

1961. Giulietta berlina



L’AFFARE ALFA (capitolo tratto, ampiamente, dal libro “Tutto in Famiglia” di Alan Friedman, Longanesi &C, 1988).


IL primo tentativo della Ford di stabilire una testa di ponte in Italia risale agli anni ’20. Ma quando il senatore Giovanni Agnelli seppe che la Ford si proponeva di montare macchine ne11’Italia del Nord, andò su tutte le furie. Il fondatore della FIAT non avrebbe tollerato concorrenti. Sollevò un gran baccano, suonò le campane del nazionalismo e nel 1930 perorò la sua causa, nei termini più forti, presso Benito Mussolini; il quale aderì alla richiesta di Agnelli varando le leggi necessarie per cacciare la Ford dal territorio italiano. La posizione della FIAT come unico grosso produttore di macchine in Italia era per il momento al sicuro.

1932. Mussolini alla Fiat

Per la FIAT non fu altrettanto facile liberarsi della Ford nel 1986, quando i vertici dell'industria di Stato italiana resero pubblico il progetto di vendere alla compagnia americana la leggendaria ma deficitaria Alfa Romeo. Per cominciare, i sindacati comunisti e i manager democristiani delle imprese a partecipazione statale erano egualmente favorevoli all’affare. In secondo luogo, era chiaro a tutti che la FIAT aveva il dente avvelenato: a Torino bruciava ancora il fallimento, pochi mesi prima, di un tentativo di fusione a livello europeo con la Ford. E se la FIAT aveva ancora una
potente lobby a Roma, non aveva però un Mussolini così pronto a compiacere i suoi desideri. 

Valletta e Mussolini

I metodi di Gianni Agnelli sono più sottili di quelli del suo nonno fondatore. L’Avvocato infatti, come prima mossa, diede il benvenuto alla Ford in una dichiarazione pubblica che parve la conferma del suo non interesse ad acquistare l’Alfa. Nello stesso tempo però mise mano all’arma segreta, mandando all’attacco Romiti, ormai conosciuto come il “Rambo” dell’industria italiana.


I metodi adottati da Romiti per bloccare la strada alla Ford non furono tanto diversi da quelli che la FIAT aveva usato in era fascista; anche lui sollevò un gran baccano, suonò le campane del nazionalismo e perorò la sua causa, nei termini più forti, presso il governo di Roma.

Mussolini in visita alla Fiat nel 1932
 
In più, per tutta la calda estate dell’86 giocò come il gatto col topo, ora dicendo ora negando che la FIAT avrebbe fatto una sua offerta per l’acquisto dell’Alfa. Quando alla fine dichiarò l’offerta, ebbe subito partita vinta. La Ford era stata sconfitta un’altra volta, e un’altra volta la FIAT aveva messo al sicuro la sua posizione di unico grosso produttore di auto in Italia.
Era cambiato qualcosa negli oltre cinquant’anni trascorsi fra l’espulsione della Ford per opera del senatore Giovanni Agnelli e la sua sconfitta per opera dell’avvocato Gianni Agnelli e di Cesare Romiti?

Cesare Romiti, AD Fiat

Sulla carta molte cose erano cambiate. L’Italia affermava di essere diventata la quinta potenza economica del mondo e (con grande irritazione della signora Thatcher) di aver superato la Gran Bretagna; si proclamava un paese industriale avanzato, con un mercato finanziario più moderno e più democratico di quanto fosse mai stato prima. Ma l’affare Alfa dimostrò che, Italia vecchia o “nuova”, la FIAT e la sua ragnatela di potere non avevano perso nulla della loro forza.
« Ci avevano avvertito », ricorda il cinquantaquattrenne Kenneth Whipple, il dirigente Ford che, come presidente delle operazioni europee del gruppo, nel 1986 sovrintese alle trattative per l’Alfa Romeo. “ Ci avevano avvertito, se volevamo andare in Italia, di stare attenti o ci avrebbero scuoiati”. Whipple, ora tornato a Detroit, non pensa che la Ford sia stata “scuoiata”, ma molti non sono del suo parere.


Nel luglio 1987, meno di un anno dopo che la FIAT aveva assunto il controllo dell'Alfa Romeo, la Commissione CEE ordinò un’indagine sulla controversa trattativa. I funzionari della CEE furono incaricati di esaminare le accuse secondo le quali la FIAT aveva pagato un prezzo effettivo di soli 400 miliardi di lire - molto inferiore al vero valore di rnercato dell’Alfa - per acquistare il 100 per cento dell’azienda rivale e aveva beneficiato di un trattamento preferenziale da parte del governo italiano.
Poi, al principio del 1988, la MIRU (Motor Industry Research Unit) inglese pubblicò un rapporto in cui affermava che, dopo un’attenta analisi economica, era arrivata alla conclusione che la Ford avesse fatto un’offerta più vantaggiosa di quella della FIAT.

Vittorio Ghidella

Infine, nel primo commento di uno studioso sull’argomento, Joseph La Palombara osservava che, proprio mentre sembrava che la Ford stesse per assicurarsi il controllo ‘dell’Alfa, con la maggior parte dei manager di Stato italiani favorevoli alla compagnia americana, la FIAT era riuscita in un batter d’occhio a togliere di mezzo l’avversaria, a un prezzo “che molti credono sia stato molto meno favorevole per il governo italiano di quello che la Ford aveva offerto”,
Alla fine dell’affare Alfa, non solo Agnelli era riuscito a spegnere l'ultimo focherello di concorrenza interna nel settore automobilistico, ma la quota di mercato interno controllata dalla FIAT era balzata al 60 per cento. Non esiste altro paese occidentale industrializzato dove un’unica azienda automobilistica si assicuri una così grossa fetta di mercato; persino la quota della General Motors, la più grossa azienda automobilistica mondiale, sul mercato statunitense è stata solo del 35 per cento nel 1987, mentre in paesi europei come l’Inghilterra, la Francia o la Germania le quote di mercato dei più grossi produttori di automobili oscillano tra il 25 e il 30 per cento.

1962. Vittorio Valletta (al centro) con Kossighin a Mosac

L’acquisto dell’Alfa Romeo da parte della FIAT fu dunque un affare controverso. Fu anche la mossa decisiva con cui  Torino si assicurò una posizione di unico grosso produttore d’auto in Italia, e diede luogo a indagini e a un’azione legale. Ma, come tante faccende dello stesso genere in Italia, l’affare Alfa rimane avvolto in un velo di mistero. Per la FIAT non ci sono veli, ma solo un mantello di gloria; e, come spesso accade e forse in Italia più che altrove, la storia è scritta dai vincitori. Che cosa accadde realmente?
« Ci siamo annessi una provincia debole », proclamò Gianni Agnelli nel novembre 1986, appena saputo che era riuscito a soffiare l’Alfa sotto il naso della Ford con un’offerta fatta a11’ultimo momento. La terminologia imperiale non era fuori luogo. Gli uomini della Ford avevano dedicato quattro mesi e mezzo a intensi negoziati tecnici e finanziari con la IRI-Finmeccanica, il gruppo di Stato proprietario dell’Alfa Romeo. La FlAT invece non negoziò: dopo aver condotto una delle più sofisticate campagne di lobby e di relazioni pubbliche nella storia dell’industria, semplicemente avanzò un’offerta, e quell’offerta fu accettata. E Agnelli, una volta ottenuta la vittoria, cercò di minimizzarla.
 
Agnelli ed il Generale De Gaulle a Parigi nel 1968

Il fatto è che la FIAT non aveva mai manifestato il minimo interesse all’acquisizione di un controllo di maggioranza nell’Alfa Romeo. La maggior parte degli esperti industriali italiani dava da tempo per scontato che Torino trovasse molto comodo avere come unico competitore interno un’azienda dissestata come l’Alfa. L’Alfa era veramente un disastro. Fra il 1973 e l’86 aveva accumulato perdite per 1244 miliardi di lire.” All’inizio del 1986 era finanziariamente azzoppata: aveva un patrimonio netto negativo, esplicava poco più di un terzo della sua capacità produttiva di 430.000 vetture l’anno e vacillava sotto il peso di un debito lordo di ben oltre 1000 miliardi di lire. Peggio di così non si poteva.
 
1975. Agnelli a Roma con Edward Heath, Giorgio Amendola e Guido Carli

Ma Gianni Agnelli non aveva dato segno di voler comprare l’Alfa. Lui e suo fratello Umberto avevano solo disprezzo per l’industria di Stato; avevano manifestato disprezzo nel 1980 per la decisione governativa di approvare il progetto Nissan-Alfa Romeo di costruire una fabbrica
d’automobili nel Mezzogiorno, come avevano manifestato disprezzo nel 1967 per il progetto di costruire una fabbrica Alfa Romeo a Pomigliano. Per usare le parole di Romiti, “ i due fondamentali punti di tensione nella storia dei rapporti tra FIAT e Alfa sono stati il lancio della fabbrica di Pomigliano e proprio l’iniziativa Alfa-Nissan, che noi ritenevamo non dignitosa, perché 1’Alfa doveva fare un semplice lavoro di montaggio da paese del Terzo mondo”.
 
Agnelli e Bettino Craxi

Quello che nel 1986 l’Economist definiva «l’atteggiamento solitamente languido » della FIAT nei confronti dell’Alfa Romeo cambiò di colpo non appena la Ford manifestò il suo interesse. La rivista inglese predisse, vedendo giusto, che la FIAT si sarebbe associata con l’Alfa, non foss’altro per impedire alla Ford di mettere piede sul mercato italiano. “I manager della FIAT, prima scettici circa i vantaggi di un’associazione con l’Alfa, ne vedono ora i benefici”.
Al momento della vittoria della FIAT nell’affare Alfa, la macchina pubblicitaria dell’azienda stava già convincendo gli italiani che quest’ultima aveva agito per il bene della nazione. Agnelli, per la verità, in una dichiarazione di ”annessione “ si lasciò sfuggire che “ la FIAT era più forte senza l’Alfa, ma sarebbe stata infinitamente più debole nel caso che l‘Alfa fosse stata comprata da un concorrente come la Ford “, ma in generale i suoi uomini avevano fatto apparire l’acquisto come un atto di generosità: una linea propagandistica simile a quella seguita dalla FIAT già nel 1969, quando aveva assorbito la dissestata Lancia. A quel tempo Agnelli aveva dichiarato di voler acquistare la Lancia non perché questo avrebbe rafforzato il gruppo di Torino, ma per senso del “dovere” nei confronti della città.“ In quel caso la FIAT ebbe la Lancia per la somma simbolica di una lira per azione e l’assunzione dei debiti. Una proposta dello stesso tipo, secondo un uomo politico ben informato, fu avanzata inizialmente dalla FIAT nel maggio 1986, quando venne a sapere che era stata siglata una lettera d’intenti tra l’Alfa e la Ford.“
 
1987. Agnelli con Nancy e Ronald Reagan al Summit economico di Venezia

La prima pubblica notizia delle trattative tra Ford e Alfa fu data da un comunicato congiunto del 21 maggio 1986 in sui si annunciava che la Ford era interessata all’acquisto di una consistente partecipazione azionaria nell’azienda italiana, forse anche di un controllo di maggioranza. Roma e Detroit comunicavano anche di stare intraprendendo uno studio di fattibilità di due mesi per esaminare il progetto.
La prospettata vendita di un simbolo di prestigio italiano come l’Alfa Romeo avrebbe potuto urtare sensibilità politiche; i manager dell’IRI-Finmeccanica decisero quindi di preparare i ministeri all’annuncio prima che questo venisse rilasciato. A mezzogiorno di martedì 20 maggio la lettera d’intenti siglata dalla Ford arrivò al quartier generale romano dell’IRI. Entro cinque ore una delegazione capeggiata dal professor Romano Prodi, presidente dell’IRI, e da Fabiano Fabiani, capo della Finmeccanica, andava a informare il ministro delle Partecipazioni statali, Clelio Darida.“ Prodi e Fabiani si recarono poi da Giuliano Amato, il principale consigliere del presidente del Consiglio Bettino Craxi.
 
Fiat 1400

Quella sera, Prodi prese un’altra precauzione: chiamò al telefono Torino e informò Cesare Romiti. Avevano un appuntamento per l’indomani, ma il capo dell’IRI sapeva quello che stava facendo: sapeva che a Romiti non piacevano le sorprese. Secondo testimonianze raccolte al vertice dell’IRI, nell’incontro con Prodi il giorno successivo Romiti era piuttosto “ freddo”. « Romiti non ci credeva », ricorda un alto dirigente dell’IRI. « Si rifiutava di credere che saremmo riusciti a vendere l’Alfa agli americani. Gli dicemmo che stavamo trattando con la Ford già da qualche tempo, ma semplicemente non credeva che sarebbe mai accaduto. >>
 

Questo scetticismo fu espresso dalla FIAT molte altre volte nei mesi che seguirono, mesi nei quali Romiti fu la punta di lancia di una campagna lobbistica di una violenza senza precedenti. «Vendano, vendano l’Alfa, se ci riescono », schernì un funzionario della FIAT pochi giorni più tardi, quando diventò evidente l’irritazione di Torino; ma lasciare che Roma vendesse l’Alfa alla Ford era l’opposto di quello che la FIAT aveva in mente.
La notizia delle trattative tra la Ford e l’Alfa irritò gli uomini di Agnelli soprattutto per due ragioni: 1. La FIAT dichiarò che aveva in corso trattative per una joint-venture con 1’Alfa e che l’annuncio del progetto Ford le aveva troncate; 2. erano passati solo sette mesi dal fallimento di un progetto di fusione in Europa tra la stessa FIAT Auto e la Ford.
 
Craxi e Romiti

Torino trovava molto irritante che la Ford avesse osato tornare in Italia per un altro giro di negoziati così poco tempo dopo il fallimento delle tanto vantate trattative FIAT-Ford; e, secondo osservatori bene informati, questa irritazione era accresciuta dal fatto che i negoziati con la Ford avevano provocato conflitti ai vertici della FIAT stessa.
Banchieri e operatori di borsa vicini alla FIAT riferivano che Gianni Agnelli aveva guardato con entusiasmo alla possibilità di una combinazione con la Ford, e come lui Vittorio Ghidella, il capo della divisione auto. Ma Romiti, secondo loro, aveva fatto opposizione. Benché i negoziatori di Torino e di Detroit avessero proposto dozzine di formule diverse in base alle quali dividere il potere tra FIAT e Ford, il testardo Romiti si era rifiutato di cedere il controllo sia azionario sia manageriale, e aveva convinto Agnelli che la FIAT poteva continuare da sola. La combinazione delle due aziende avrebbe creato il più grosso gruppo automobilistico in Europa, con una quota di penetrazione del mercato europeo pari al 25 per cento. Ma Romiti non si era convinto.
 
Lama e Agnelli

Si dice che Ghidella, che credeva appassionatamente in quella operazione, abbia pensato seriamente di lasciare la FIAT e accettare l’offerta di un altro produttore d’auto americano che gli avrebbe dato la direzione per l’Europa occidentale.
Romiti dichiarò più tardi che non era stato lui a far fallire l’accordo Ford-FIAT, e chi lo insinuava diceva sciocchezze.
Il problema, sostenne, era che « la Ford voleva venire a comandare in casa nostra ». Chiaro che il ritorno della Ford, questa volta per tentare di assicurarsi l’Alfa Romeo, diretta concorrente della divisione Lancia della FIAT, parve a Romiti un’altra invasione di >. Ma questa volta la « casa nostra>>. Ma questa volta la  era l’Italia stessa.
Così Romiti iniziò la sua campagna per mandare a monte i progetti avversari. Cominciò con una serie di visite, la prima delle quali ebbe luogo verso la fine del maggio 1986, al presidente del Consiglio Craxi. In ognuno di questi incontri, si dice, ribadì la sua opposizione all’idea che la Ford acquistasse l’Alfa, alzando la bandiera del nazionalismo italiano e affermando che la FIAT poteva trovare una sua soluzione per l'Alfa.
 
Romano Prodi e Cesare Romiti

Craxi era in un grave imbarazzo. E non era privo d’ironia il fatto che Romiti, l’uomo che aveva tante volte accusato i politici di interferire nel settore privato, stesse ora cercando il loro appoggio. L'indomani del primo incontro con Romiti, il presidente del Consiglio invitò a colazione all’Hòtel Raphaèl di Roma, dove aveva una suite, un piccolo gruppo di consiglieri.  Secondo uno di questi intimi, Craxi non sapeva veramente che pesci pigliare. , riferì poi un alto esponente del partito socialista che partecipò alla colazione. Sembrava come se la FIAT volesse l’Alfa in regalo. A Craxi non piaceva l'idea di vedere rafforzato il potere monopolistico della FIAT, ma gli era anche chiaro che, come presidente del Consiglio, doveva vedere le cose in un contesto più ampio, nazionale. Si domandava che cosa sarebbe successo se l’Alfa fosse stata venduta agli americani, e gli dicemmo tutti: ’No, non si può!’ Chiaro che aveva davanti una decisione molto difficile. Saggiamente Craxi decise per il momento di non prendere posizione sul’Alfa, ma poco dopo il primo incontro con Romiti si concesse una bordata contro Prodi, che essendo democristiano non era suo amico più di quanto lo fosse Romiti. « Dall’ IRI», tuonò Craxi, vendita di industrie.>  Prodi, ex professore di economia all’università di Bologna, appartiene alla nuova razza dei manager di Stato. È un uomo che crede nella privatizzazione delle industrie non strategiche, nel farsele pagare fior di quattrini, e anche nel mantenere l’occupazione.

1980. Berlinguer a Mirafiori.

 A suo modo di vedere, la vendita dell’Alfa Romeo alla Ford offriva le migliori prospettive per l’azienda e per i suoi 32.000 dipendenti. La Ford avrebbe potuto espandere la produzione dell’Alfa e promuovere aggressivamente la vendita delle sue vetture a giovani e ricchi clienti nordamericani. Per di più, non c'erano altre offerte di acquisto: la Fiat aveva parlato solo di joint-venture.
Romiti intanto intensificava la sua guerriglia. Il 4 giugno, accompagnato da Ghidella, era ell’ufficio di Prodi in via Veneto per un "vertice" con i capi dell’IRI, della Finmeccanica e dell’Alfa Romeo. Secondo quanti furono presenti all’incontro, gli uomini della FIAT cercavano battaglia, ed erano già politicamente « armati».
 
Romiti-Andreotti-Agnelli

Pochi giorni prima Fabiani, l’amministratore delegato della Finmeccanica, cenando in una piccola trattoria vicino al Pantheon aveva incontrato un membro del Parlamento dal quale aveva saputo che Paolo Cirino Pomicino, allora presidente democristiano della commissione bilancio del Senato, avrebbe tenuto una serie di udienze a proposito delle trattative Ford-Alfa, e che a queste udienze sarebbe stato presente Romiti. Romiti dunque progettava di portare la controversia a conoscenza del pubblico. Perciò, quando arrivò all’incontro del 4 giugno, si presentò, secondo uno dei
partecipanti, armato di una 
Certo che c’erano state trattative a proposito di una joint-venturce tra FIAT e Alfa. C’erano anche state conversazioni esplorative tra l’Alfa e la General Motors, la Chrysler, la Nissan, la Subaru, la BMW.
Da due anni i proprietari dell’Alfa cercavano un partner, e la FIAT era stata una delle tante aziende consultate. E allora? replicarono i funzionari dello Stato.
 
Cesare Romiti

Ma i proprietari dell’Alfa capivano bene a che gioco Romiti stesse giocando. Sapevano che Romiti voleva andare davanti al Parlamento, fare appello al sentimento patriottico e presentare le cose in modo da far sembrare che la FIAT fosse stata tradita; e sapevano quanto sarebbe stata efficace quella tecnica.
Dopo l’incontro del 4 giugno, i funzionari dell’industria di Stato sapevano a che cosa andavano incontro. Romiti era sicuro che le trattative con la Ford non sarebbero approdate a nulla , ricorda un alto funzionario, e nel suo tono c’era un’arroganza che riusciva difficile mandar giù.
Così, benché la vicenda Ford-Alfa-FIAT dovesse durare per cinque mesi, a chi sapeva come stavano le cose sembrava che la società americana fosse già stata sconfitta. La FIAT aveva deciso di mandare a monte l’affare, e se la FIAT voleva l’Alfa, a qualsiasi governo italiano sarebbe stato difficile giustificare il trasferimento all’estero della proprietà di un così prestigioso simbolo nazionale. Per chi aveva esperienza degli intrècci fra aziende private italiane e ambienti politici, gli uomini della Ford avevano già perso la battaglia.
Era solo questione di tempo e di tattiche.

Mirafiori. catena montaggio Fiat 600

La bomba preparata da Romiti scoppiò nel momento stabilito: il 10 giugno Tramontana apparve davanti alla commissione Cirino Pomicino e disse chiaro e netto che i proprietari dell’Alfa preferivano la proposta della Ford a qualunque altra, inclusa quella della FIAT, perché solo la Ford avrebbe mantenuto l’Alfa come unità aziendale a sé e ne avrebbe conservato la tecnologia." Ma Romiti, nella grande esibizione pubblica di cui aveva fatto le prove generali in privato una settimana prima, recitò da maestro la scena dell’italiano patriota che, bandiera in pugno, si batte' eroicamente contro l’invasione straniera. Furioso e offeso, disse al Parlamento che la FIAT aveva fatto proposte all’Alfa Romeo su richiesta dell’azienda di Stato; le trattative erano iniziate nel novembre 1985 e continuate fino a maggio. Romiti continuò dicendo di non essere stato informato delle trattative in corso tra Alfa e Ford fino alla sera del 20 maggio, quando aveva ricevuto una telefonata dal professor Prodi.

Fiat lingotto

L’implicazione era che la FIAT, la generosa benefattrice, era stata tenuta all’oscuro mentre i disonesti dell’industria di Stato conducevano con la Ford negoziati paralleli di cui la FIAT non aveva la più pallida idea. Secondo l’IRI,questa era una completa distorsione dei fatti. La battaglia per l’Alfa Romeo era cominciata in pieno.
La stampa italiana riportava le parole di Romiti. Però gli uomini dell’industria di Stato, che avevano siglato una lettera d’intenti con una multinazionale americana e sin da marzo avevano tenuto incontri settimanali con gli emissari della Ford, non erano disposti a lasciare che la FIAT mandasse tutto a monte con tanta facilità. In risposta all’offensiva di Romiti, cominciarono a lasciar trapelare alla stampa italiana e straniera quelle che consideravano prove del fatto che la FIAT era stata perfettamente al corrente degli sviluppi in corso.

1953. Alfa Romeo 1900


La strategia di Romiti dipendeva dal convincere l’opinione pubblica italiana che la FIAT era stata tradita, che Torino non era stata informata dell’esistenza di altri negoziati, e che in ogni caso la FIAT aveva per l’Alfa un piano migliore della Ford. Entro ventiquattro ore dall’apparizione di Romiti davanti al Parlamento, un dirigente dell’IRI accusava però  la FIAT di tentar di sabotare la trattativa; non negava che ci fossero stati incontri tecnici tra la FIAT e l’Alfa prima che fosse annunciata la proposta della Ford, ma affermava che Romiti rendeva ora pubbliche le conversazioni tra FIAT e Alfa allo scopo di far naufragare i negoziati con la società americana. "Perché mai abbiamo bisogno del permesso della FIAT per negoziare con la Ford? " si chiedeva. " Non abbiamo nominato la Ford, ma fin dall'inizio, nel novembre scorso, abbiamo avvertito la FIAT che stavamo trattando anche con altri ", disse il dirigente dell’IRI. Per parte sua, la FIAT dichiarò che le rivelazioni di Romiti erano state fatte solo "per rispondere a domande del Parlamento" e, a una domanda precisa, rispose con altrettanta precisione che rispose con altrettanta precisione che " nel periodo fra il novembre 1985 e il maggio 1986 la FIAT non fu informata del fatto che l’IRI stava trattando con altre società. La possibilità che l'IRI vendesse il controllo di maggioranza dell’Alfa non fu mai prospettata, in sette mesi di trattative, fra 1’IRI e la FIAT, e non fu mai inclusa in nessun documento".
Secondo una copia confidenziale del documento di lavoro FlAT-Alfa riguardante una possibile joint-venture, copia che fu fatta avere al Financial Times di Londra e a Panorama, le cose non andarono affatto così.

1962. Alfa Romeo Giulia Berlina

In realtà, era stata prospettata la possibilità che l’IRI vendesse il controllo di maggioranza dell’Alfa. Il documento, datato 5 maggio 1986, conteneva infatti la seguente clausola: « Se il risanamento dell’Alfa Romeo viene cedendo la maggioranza o l’autonomia gestionale, FIAT chiede di esserne informata prima dell’assunzione di impegni». Questa, secondo l’IRI, era la prova che la FIAT era al corrente almeno della possibilità che il controllo di maggioranza dell’Alfa fosse ceduto ad altri. In ogni caso, Tramontana e Ghidella erano stati in stretto contatto; avevano avuto più di una dozzina di incontri e al principio del 1986 si erano persino recati insieme a Tokyo per cercare di combinare un’operazione a tre con la Nissan.

Ma poco importava il documento. Romiti nell’estate dell’86 passò a un altro tipo di gioco, dicendo che non voleva « disturbare » i negoziati Alfa-Ford e avrebbe aspettato una precisa offerta della Ford prima di fare altri commenti.

1960. Giulietta Spider Veloce

E poco importava che attivisti sindacali di solito antiamericani e una maggioranza dei membri del Parlamento interessati al1’affare Alfa si dichiarassero, quella stessa estate, in favore della Ford.
Un’indagine tra gli operai dell’Alfa rivelò che il 66 per cento preferiva la Ford e solo il 34 per cento era per la i FIAT. Nella fabbrica di Arese, persino membri comunisti della sezione « Ho Chi Min » del sindacato metalmeccanici si espressero a favore di un assorbimento da parte della Ford.” La ragione andava forse cercata non tanto in un improvviso amore per il capitalismo americano quanto nella paura della longa manus della FIAT. « Qui », si espresse un veterano delle catene di montaggio, dei tecnici di Torino... siamo convinti che la proposta FIAT avrebbe comportato lo smembramento dei nostri stabilimenti e la riduzione dell’Alfa Romeo a una succursale sul tipo della Lancia. >> In Parlamento, 50 degli 86 legislatori impegnati nella supervisione dell’affare Alfa si dichiararono a favore della Ford; solo 10 pensavano che sarebbe stata preferibile una soluzione « nazionale ».


Intanto le trattative Ford-Alfa progredivano. Alla fine di luglio erano stati messi a punto gli aspetti tecnici e in settembre stavano per essere risolte anche le questioni finanziarie. Il 16 settembre Roma e Detroit annunciavano che erano stati fatti progressi soddisfacenti e che entrambe le parti confidavano di raggiungere presto una soluzione positiva.”
Cominciarono a trapelare particolari. La Ford avrebbe pagato 96 milioni di dollari per un’iniziale quota azionaria del 19,9 per cento, che avrebbe aumentato al 51 per cento nel giro di tre anni. Ford e Finmeccanica avrebbero finanziato un piano d’investimenti per vari miliardi di dollari, e la Ford si sarebbe impegnata a espandere la produzione annua dalle 170.000 unità del 1985 alle più di 400.000 che rappresentavano la piena capacità produttiva de11’Alfa Romeo.
Ma mentre i negoziati entravano nella fase decisiva, Torino era già sulle mosse. Verso la metà di settembre, rappresentanti della Ford e della Finmeccanica si incontrarono all’Hòtel Hassler di Roma per pranzare insieme e discutere le fasi finali della trattativa. Quando uno degli americani chiese fra quanto tempo si prevedeva che la FIAT si sarebbe fatta viva con una sua offerta, si dice che Franco Viezzoli (allora presidente della Finmeccanica) rispondesse >; al che Fabiano Fabiani avrebbe detto, con un risata, che si sarebbe trattato piuttosto di qualche ora.“  Come si vide poi, Fabiani era andato più vicino al segno.


Il 16 settembre, quando la Ford e la Finmeccanica annunciarono di stare per concludere le trattative, un portavoce della FIAT a Torino si attenne a un rigido
Per un momento parve che il gruppo Agnelli avesse deciso di lasciar perdere. Ma solo per un momento.
Il pomeriggio dell’indomani, Valerio Zanone, allora ministro dell’industria, espresse la sua soddisfazione per i progressi Alfa-Ford, poi inaspettatamente dichiarò che desiderava invitare tutte le aziende automobilistiche > a fare una loro proposta per l’Alfa Romeo. Non erano passate due ore che Cesare Romiti rispose all’invito dichiarando che la FIAT sarebbe stata "felice di illustrare il contenuto delle sue proposte". La stessa sera, Romiti e Agnelli incontrarono Craxi a palazzo Chigi. Secondo persone bene informate Agnelli disse al presidente del Consiglio che era pronto a fare un’offerta per l’Alfa, e nello stesso incontro lo mise al corrente del fatto che la Libia stava per vendere la sua quota FIAT una notizia che non poteva non giocare a favore di Torino.avrebbe reso nota una nuova proposta per l’Alfa >.
Quando Agnelli e Romiti uscirono, dopo un’ora di conversazione con Craxi, Romiti evase le domande dei giornalisti, rispondendo laconicamente: «Ogni tanto veniamo a palazzo Chigi >>. Intanto l’ufficio stampa di Torino emanava il suo nuovo messaggio, annunciando che presto Torino
Ora che la FIAT era finalmente uscita allo scoperto, il sentimento nazionale cominciò a cambiare in suo favore.
Agnelli non ebbe bisogno neppure della sua rete di potere.


Quale uomo politico avrebbe potuto mettere in discussione una controfferta della FIAT‘? L’accordo Alfa-Ford sembrava cosa fatta , scrisse una rivista italiana, « non solo perché il contratto era definito in tutti i suoi termini, ma soprattutto perché un larghissimo schieramento politico sembrava deciso a sostenere fino in fondo questa soluzione. Poi Gianni Agnelli è venuto a Roma, si è recato a palazzo Chigi da Craxi, ha mandato autorevoli ambasciatori a Botteghe Oscure e a Piazza del Gesù, e tutto d’un tratto, il vento è cambiato. >>
I partiti politici tradizionalmente più vicini alla FIAT fecero quanto ci si aspettava da loro. Renato Altissimo, leader del partito liberale, disse immediatamente che, se le offerte della Ford e della FIAT erano simili, bisognava accettare quella di quest’ultima. Una piccola voce di dissenso venne da un altro liberale, Antonio Baslini, che osservò:>,dichiarò Gerolamo Pellicano, repubblicano ed estimatore degli Agnelli, aggiungendo un po’ debolmente: « a condizione che ci siano garanzie per la competitività... >> Ormai anche Craxi era per la FIAT. Vedeva bene da che parte stesse soffiando il vento, e se da una parte poteva spiacergli di favorire l’espansione del potere di Agnelli, dall’altra così facendo guadagnava punti contro i democristiani dell’industria di Stato, partigiani della Ford. Come previsto, gli ambienti politici di Roma facevano, anche non volendolo, il gioco della FIAT.


Non importava che Torino non avesse neppure indicato i termini della sua proposta: bastava la sua promessa di un’« offerta migliore ». Agnelli disse che avrebbe fatto la sua offerta non appena fosse stata resa pubblica la proposta della Ford. Ma quando - il 1° ottobre - la proposta Ford fu consegnata a Roma, i funzionari dello Stato rifiutarono di rivelarne il contenuto. Alla FIAT si chiedeva di giocare secondo le regole.
A quel tempo, ricorda un alto dirigente dell’industria di Stato, « Roma era più del solito affollata di gente che cercava di conoscere il contenuto dell’offerta Ford. Giornalisti, politici, factotum di ogni genere, persino le puttane facevano del loro meglio per venire a sapere i particolari ».
Dopo avere annunciato l’intenzione di fare una controfferta per l’Alfa, la FIAT continuò nel suo gioco d’attesa.
Roma aveva promesso di rispondere all’offerta ufficiale della Ford entro il 7 novembre, ma la FIAT continuò a tacere. …


………Venerdì 24 ottobre, a cinque mesi quasi esatti da quando Romiti aveva iniziato la sua campagna, l’amministratore delegato della FIAT volò nuovamente a Roma, e alle 7.45 di quella sera consegnò a mano l'offerta FIAT ai funzionari della Finmeccanica. I termini furono tenuti segreti per ventiquattro ore, alla fine delle quali la stampa italiana era alla frenesia.
Sabato 25 ottobre un Cesare Romiti sicuro di sé come non mai si presentò a un’affollatissima conferenza stampa a Torino e rese noti i termini dell’offerta FlAT. Cominciò con una cifra da brivido: 8000 miliardi, la somma che la FIAT offriva per l’Alfa. Disse che la Fiat avrebbe volentieri comprato immediatamente fra il 51 e il 100 per cento dell’Alfa, non il 20 per cento proposto come quota iniziale della Ford.


Fece promesse per quanto riguardava l’occupazione e a proposito di una fusione dell’Alfa con la Lancia per creare una nuova forza sul mercato europeo delle auto di lusso. Garantî la vendita di 60.000 vetture Lancia e Alfa negli Stati Uniti e annunciò che la FIAT aveva già creato una rete di vendita oltre oceano.“
Tutto questo suonava meraviglioso; ma nell’entusiasmo per il grandioso programma d’investimenti della FIAT, nessuno pensò a chiedere a Torino quanto precisamente offrisse di pagare per l’acquisto dell’Alfa Romeo. La First Boston, la banca d’affari incaricata di valutare le offerte Ford e FIAT, aveva bisogno di sapere la cifra esatta, e il lunedì successivo alla conferenza stampa di Romiti la Finmeccanica chiese precisazioni. L’offerta della Ford - dissero i suoi uomini - era molto chiara per quanto riguardava il prezzo d’acquisto, e al momento non era possibile un chiaro confronto; speravano che la FIAT precisasse la sua offerta nel giro di pochi giorni.” 


La FIAT scrollò le spalle. Dettagli! Noiosi dettagli. Naturalmente avrebbe fornito a Roma tutte le cifre che voleva.
Romiti non aveva forse detto che la FIAT avrebbe investito 8000 miliardi di lire, dei quali 5000 sarebbero andati alla nuova società Alfa-Lancia? Non aveva detto che i 3000 miliardi rimanenti avrebbero coperto l’acquisto dell'Alfa e le perdite future? Quanto al valore contabile dell’Alfa, la FIAT aveva detto di stimarlo 1500 miliardi, ma aveva detto anche di aspettarsi uno sconto.” La cosa importante era che la FIAT avesse parlato. Ma adesso mancavano meno di quattordici giorni al termine ultimo del 7 novembre, e la cifra esatta dell’offerta FlAT non era ancora stata detta. Intanto, fuori del mondo degli affari, tutta l’Italia faceva il tifo per Agnelli.


Alla fine la FIAT fornì i particolari, ma soltanto il 1° novembre, meno d’una settimana prima del termine ultimo.
Nel giro di cinque giorni la bocciatura dell’offerta Ford era un fatto compiuto: l’IRI annunciava che, dopo un attento esame da parte della First Boston e di esperti della Arthur D. Little, l’offerta della FIAT era stata giudicata « economicamente più vantaggiosa ».
Il governo italiano, in queste cose di solito lento come una tartaruga, stavolta diede il suo benestare ufficiale in meno di ventiquattr’ore. E infine cominciarono a venire in luce alcuni particolari dell’offerta FIAT. L’Alfa era stata pagata 1050 miliardi di lire, cioè il 30 per cento meno di quello che era il valore contabile secondo le stime della stessa FIAT. La FIAT avrebbe assunto il controllo al 100 per cento dell’Alfa il 1° gennaio 1987, ma non avrebbe versato neanche una minima parte del prezzo d’acquisto fino al 2 gennaio 1993. Solo a partire dal 1993 avrebbe cominciato a sborsare denaro, e anche allora in ratei distribuiti su un periodo di cinque anni.
Alcuni altri aspetti dell’affare rimasero avvolti dal mistero. La FIAT avrebbe assunto oltre 750 miliardi di lire del carico debitorio dell’A1fa, ma qual era la misura esatta del debito? Negli ambienti finanziari italiani si diceva che fosse più del doppio. La Finmeccanica disse più tardi che il debito totale netto al tempo dell’operazione era di 991 miliardi, cioè circa 241 miliardi più del carico debitorio assunto dalla FlAT.

Anni '60 Torino. Catena di montaggio della Fiat 600 nello stabilimento della Mirafiori.

Allo Stato sarebbero rimaste due cose: una scatola vuota con dentro quella parte dei debiti che la FIAT si era rifiutata di assorbire, e l’Alfa Avio. E nonostante le ripetute richieste che i particolari di entrambe le offerte fossero resi pubblici, il governo italiano si rifiutò di fornirli dicendo che la Ford aveva chiesto che fossero tenuti segreti.
La vittoria della FIAT sulla società statunitense era stata ottenuta con metodi corretti? La First Boston diede una risposta affermativa rilasciando un " fairness statement", e la Ford disse a Roma che, sebbene delusa per la conclusione della vicenda, riteneva che tutto fosse stato fatto in modo professionale. Ma qualcuno a Bruxelles aveva invece i suoi dubbi, e verso la fine del 1986 funzionari della Commissione CEE cercarono di farsi dare risposte precise dalla FIAT e da Roma; ma andarono a sbattere contro un muro di silenzio. In privato definirono l’atteggiamento italiano di " non cooperazione". Che cosa esattamente aveva reso l’offerta FIAT tanto più vantaggiosa di quella della Ford?
L’offerta della Ford non è mai stata resa pubblica almeno in modo ufficiale. Il mistero che circonda l’affare Alfa non è ancor oggi dissipato.
Il debito dell’Alfa, per esempio, non sembra sia stato considerato un dato importante nella valutazione delle due offerte. « Non era una questione chiave », dichiarò un alto dirigente dell’industria di Stato, senza spiegare il perché.“
Più tardi, quando investigatori della CEE insistettero per sapere da Roma come era stato considerato il debito, un alto dirigente italiano li definì degli «incompetenti ». Ma l’ammontare del debito Alfa lasciato dalla FIAT sulle spalle del governo era chiaramente un problema da non passare sotto silenzio; e un problema che interessava Bruxelles. All’inizio del 1988, e cioè a più di un anno da quando gli investigatori avevano cominciato a chiedere informazioni al governo italiano, né Roma né Torino avevano fornito le cifre relative al debito Alfa.

14 ottobre 1980. Marcia dei 40mila a Torino.

Debiti a parte, la cosa chiara era che la Ford si offriva di acquistare azioni dell’Alfa Romeo, mentre la FIAT si offriva di acquistare tutte le attività dell’Alfa, incluso un assortimento di società di componenti e di leasing. Comunque, sia la Ford sia la FIAT, pare, attraverso formule finanziarie diverse, arrivarono a un prezzo d’acquisto all’incirca eguale che si aggirava sui 1050 miliardi di lire. Nel caso della Ford la cifra sarebbe stata raggiunta immettendo una somma iniziale di 140 miliardi di lire per una quota azionaria del 19,9 per cento e poi sottoscrivendo un prestito a 3 anni emesso da Finmeccanica e convertibile entro 3 anni nel 31,1 per cento di azioni Alfa di nuova emissione. Così la Ford sarebbe arrivata a una partecipazione del 51 per cento.
La Finmeccanica avrebbe immesso questi capitali nell’Alfa. La Ford avrebbe poi portato la sua partecipazione al 90. per cento entro 5 anni e avrebbe infine potuto acquistare l’ultimo 10 per cento dell’Alfa, se Roma desiderava vendere. Dopo aver raggiunto il livello del 51 per cento, la Ford era disposta, nel suo piano, a pagare un prezzo più che doppio rispetto a quello calcolato per il primo 51 per cento fino a raggiungere il 90 per cento. Per l’ultimo 10 per cento, i prezzi sarebbero stati calcolati sulla base di quattro-cinque volte gli utili Alfa.”

Fiat-Mirafiori. Linea di montaggio. Archivio Michele D'Ottavio

La Ford stava proponendo che il denaro per la parte iniziale della sua acquisizione fosse immesso direttamente nel1’Alfa, ma non stava proponendo un pagamento dilazionato fino agli anni ’90: stava proponendo un’acquisizione scaglionata. Se si facessero i conti, alla fine la sostanza delle offerte FlAT e Ford non sembrerebbe così diversa come appare. La questione può essere discussa sulla base di diversi sistemi di calcolo.
Se qualcuno compra una macchina nel 1987 e non deve cominciare a pagarla fino al 1993, e anche allora in cinque rate annue, l’offerta e molto allettante per il compratore.
Meglio ancora se uno può comprare alle stesse condizioni un’azienda automobilistica. Il fatto che la FIAT non avrebbe cominciato a pagare fino al 1993 era tanto vistoso da attirare l’attenzione della CEE. Attualizzando l’offerta, la CEE calcolò che la dilazione del pagamento avrebbe ridotto il prezzo effettivamente pagato dalla FIAT per l’Alfa a 400 miliardi: molto meno dei 1050 miliardi nominali. Entro il ’93 la Ford avrebbe pagato più di 400 miliardi a Finmeccanica per raggiungere il 90 per cento del capitale. L’implicazione era che la FlAT fosse stata favorita nascostamente da Roma, e Bruxelles voleva anche alcune spiegazioni sulle generose immissioni di capitali nell’Alfa da parte della Finmeccanica prima dell’acquisizione da parte della Fiat.

Fiat-Mirafiori. Linea di montaggio. Archivio Michele D'Ottavio

Il 14 maggio 1987, rappresentanti della Commissione CEE e funzionari italiani si incontrarono a Bruxelles per discutere la faccenda Alfa. La commissione disse molto chiaramente alla delegazione italiana che le informazioni fornite fino a quel momento non bastavano a consentire una valutazione del caso alla luce delle norme CEE riguardanti l’assistenza statale alle aziende. Agli italiani fu fatto capire che gli investigatori erano molto insospettiti. Il problema, dissero gli uomini della commissione, era se il prezzo che la FIAT avrebbe pagato per l’Alfa riflettesse l’effettivo valore di questa sul mercato o se invece il governo italiano, dilazionando il pagamento, avesse di fatto ridotto il prezzo, violando così le norme della CEE. Gli italiani promisero una rapida risposta, ma quando questa arrivò, sotto forma di una lettera datata 2 luglio 1987, non conteneva nessuna informazione nuova. Bruxelles cominciò a dare segni d‘irritazione.

Alla fine di luglio, benché diplomatici italiani cercassero di bloccare le indagini, la commissione decise di aprire un’inchiesta. In una lettera a Roma, la commissione dichiarava che « il valore attuale del prezzo d’acquisto pagato dalla FIAT appare sostanzialmente più basso del valore attuale del prezzo offerto dalla Ford >>. Il governo italiano era sospettato di avere  >>. La FIAT s’infuriò. La Stampa dichiarò che la società non aveva niente da nascondere. L’ufficio stampa della FIAT minimizzò l’inchiesta come «routine >>.“ Ma l’affare Alfa era diventato la chiacchiera di tutta l’industria automobilistica europea.


Ma il prezzo non era l’unica considerazione. Per quanto riguardava l’occupazione, sia la Ford sia la FlAT fecero delle promesse, ma entrambe ammisero in privato che la manodopera Alfa avrebbe dovuto essere sfoltita. La MIRU, in uno studio, concludeva che l’impegno preso pubblicamente di mantenere i livelli di impiego non significava molto, dato che la legge italiana consente alle aziende di lasciare a casa i dipendenti in eccedenza addossando la spesa allo Stato.
La MIRU ha detto molto chiaramente che calcolare i meriti relativi delle offerte Ford e Fiat «è un procedimento estremamente complesso in cui sono in gioco molti fattori ai quali si può attribuire al momento solo un valore ipotetico >>. Quindi, quanto più l’affare Alfa si allontanerà nel passato, tanto più contenta sarà Torino. Nel gennaio 1988, però, il ricordo era ancora fresco, e a Londra si seppe che la FIAT montò su tutte le furie quando la MIRU annunciò che, attraverso una sofisticata analisi di attualizzazione dei pagamenti, poteva dimostrare che di fatto la Ford aveva offerto il 20 per cento più della FIAT.
 

Ancora nel luglio 1988, ben dodici mesi dopo che la commissione della CEE aveva aperto l’inchiesta sull’affare Alfa, Bruxelles si lagnava delle reticenze di Roma.cita come esempio il caso analogo dell’acquisizione del gruppo inglese Rover da parte della British Aerospace: in questa occasione non solo i ministri inglesi hanno collaborato all’inchiesta ma il governo inglese ha accolto prontamente la richiesta CEE di non accollarsi 250 milioni di sterline di debiti della Rover per facilitare l’acquisto.
A Roma, Fabiano Fabiani, il rispettato amministratore delegato della Finmeccanica, ha sempre sostenuto che il suo comportamento fu corretto; ma, nonostante l’indiscussa rettitudine personale, nel luglio 1988 Fabiani non è ancora riuscito ad accontentare la CEE. Fabiani non ha fatto mistero di come giudichi i funzionari di Bruxelles, che ha definito « né professionali né tecnicamente adeguati ». Chi ha ragione? Bruxelles o Roma?


Comunque siano andate le cose, un fatto è certo a proposito del’affare Alfa: ha dato alla FIAT una posizione di assoluto dominio sul mercato automobilistico italiano e nel 1980 l’ha aiutata a superare la Volkswagen nella lotta per la leadership del mercato europeo. ………..
……….I critici della FIAT dicono che per qualunque azienda con una quota del 60 per cento del mercato nazionale sarebbe difficile non cedere alla tentazione di imporre la sua volontà. La FIAT risponde che gli italiani sono liberi di comprare le macchine che vogliono, prova ne sia che il 40 per cento delle macchine comprate in Italia non sono italiane. Ma come sempre non è una questione di legalità bensì di correttezza. ….


……L’opinione pubblica ha salutato l’acquisto dell’Alfa come un trionfo. Alla fine del 1987 la nuova società nata dall’unione con la Lancia era già vicina al pareggio; sembrava che la FIAT fosse riuscita a operare il completo rilancio dell’Alfa in meno di un anno. Quel che ha fatto, in realtà, è compensare le perdite dell’Alfa con i profitti della Lancia e soprattutto immettere sul mercato un nuovo modello, la 164, del resto quasi pronto prima dell’arrivo FIAT, con una massiccia ed efficace campagna promozionale.
« L’affare è stato un grande successo >>, ha commentato a Londra un consulente finanziario della Finmeccanica, >
 
L'ad della Fiat, Sergio Marchionne, durante la presentazione della nuova Panda a Pomigliano (Napoli), 14 dicembre 2011.


Appendice I
Tutti i modelli di auto prodotti nello stabilimento di Pomigliano d'Arco fino al 2011
Vengono indicati i tipi, il periodo di costruziome ed il numero delle unità prodotte  (fonte wikipedia)


Alfasud a Pomigliano














1 commento:

  1. Finanziamenti e prestiti erogati in Italia, Siete alla ricerca di finanziamento per sia rilanciare le vostre attività; sia per la realizzazione di un progetto, sia per comperarvi un appartamento ma purtroppo la banca li pone a condizioni di cui siete incapaci di riempire. Più preoccupazione. Io sono un particolare che assegna prestiti che vanno di 1.000 € a 2.400.000 € . Email : creditoregiannico@gmail.com

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