domenica 9 giugno 2013

L’Alfasud e l’Alfa Romeo attraverso i principali protagonisti. Evento: “Pomigliano industriale, una questione settentrionale"

da Dedicato a Pomigliano d'Arco (Note) Domenica 13 maggio 2012 alle ore 0.05

L'Ing. Rudolf (Rudy) Hruska, Ad di Alfasud, e l'Ing. Giuseppe Luraghi, Presidente dell'Ala Romeo e dell'Alfasud

La nascita ed il tramonto dell’Alfasud e dell’Alfa Romeo attraverso  i principali protagonisti . Evento: “Pomigliano industriale: una questione settentrionale”

Questa Pagina “Dedicato a Pomigliano d’Arco”, nell’ambito dell’evento “Pomigliano industriale: una questione settentrionale”, propone alcuni interventi autorevoli che, da soli, spiegano la nascita ed il tramonto dell’Alfa Romeo, a causa delle interferenze politiche (ad opera di politici meridionali) e della Fiat . Partiamo da un pezzo tratto da Club Alfa Sport (www.alfasport.net) di Elvira Rocco che  fece parte della Direzione Relazioni Esterne e Stampa dell’Alfa Romeo dove ebbe l’opportunità di seguire con vivo interesse personale e grande passione le attività dell’Azienda nel campo dell’informazione e della comunicazione. Continueremo con il resoconto di una conferenza dal titolo “ LA NASCITA DELL’ALFA-SUD” tenutasi a Milano il 13 giugno 1991 al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia. Riporteremo  gli interventi dell’ing. Rudolf Hruska, AD e Direttore Generale Alfasud e dell’Ing. Domenico Chirico (progettista dell’Afa Sud) nonché un importante intervento  di Giuseppe Luraghi , Presidente dell’Alfa Romeo e dell'Alfasud. (Le foto sono tratte dal Gruppo FB ASCI-Alfa Sud Club Italia, dal sito e dalla Pagina FB A.R.O.C. Alfissima).

L'Ing. Rudolf (Rudy) Hruska
 Di seguito vediamo chi sono questi personaggi.
Ing. Rudolf (Rudy) Hruska. Proveniente dalla Porsche, nel 1968 diviene amministratore delegato e direttore generale della SICA, la società incaricata di progettare la vettura Alfasud. Nel 1968 fu nominato amministratore delegato e direttore generale dell’Alfasud, nel 1974 lasciò questo incarico per assumere la sovraintendenza delle progettazioni e sperimentazioni di tutti i prodotti del gruppo Alfa Romeo. Lasciò definitivamente l’Alfa nel 1980.  
Ing. Domenico Chirico: Nel 1966 divenne ingegnere capo per il progetto Alfasud. Fino al 1976 il reparto progettazione Alfasud rimase autonomo, poi nel giugno di quell'anno fu unificato sotto la Direzione dell'Alfanord e Chirico ne fu responsabile per tutte le parti meccaniche.

L'Ing. Giuseppe Luraghi
Ing. Giuseppe Luraghi: dal 1960 a tutto il 1973 ricopre la carica di presidente dell’Alfa Romeo e dell’Alfasud. Nel 1974 lascia la casa del Portello. Durante la sua Presidenza la produzione passa da 36.615 vetture del 1960 ad un totale di 205.000 del 1973. Luraghi vuole la costruzione dell’Alfasud. Da Treccani.it riportiamo: Nel corso del 1973 si esaurì il rapporto tra il Luraghi e i vertici dell'IRI. Verso la metà di quell'anno si era aperto un contenzioso tra l'Alfa Romeo da una parte, l'IRI e il CIPE dall'altra. Le questioni sul tappeto erano varie e di diversa natura: i conti dell'impresa erano sempre più compromessi dalle difficoltà sul fronte sindacale; la direzione d'impresa e le strutture di rappresentanza dei lavoratori non potevano essere su posizioni più distanti; né Arese né Pomigliano d'Arco si avvicinavano a un livello accettabile di sfruttamento degli impianti.

In questo quadro il Luraghi si trovò in difficoltà nel far approvare gli ulteriori piani di sviluppo di Arese, che riteneva necessari al completamento del progetto complessivo lanciato nell'ormai lontano 1966. Il CIPE chiese di procedere a operazioni di decentramento produttivo tali da decongestionare l'area di Arese. L'IRI si inserì in questa discussione proponendo la costruzione ad Avellino di uno stabilimento destinato al montaggio di 70.000 auto del nuovo modello Alfetta, allora fabbricate ad Arese. Il Luraghi non poteva che rifiutare, considerata l'evidente diseconomicità dell'intervento prospettato. Lo scoppio della guerra del Kippur, nell'ottobre del 1973, indusse le prime tensioni sui prezzi petroliferi, rendendo di colpo anacronistica la discussione sulla costruzione di nuovi impianti produttivi nel settore automobilistico. Tuttavia la polemica tra i protagonisti della vicenda, e in particolare tra il Luraghi  e il ministro delle Partecipazioni statali A. Gullotti, restò aperta: nel gennaio del 1974 il Luraghi non fu riconfermato nell'incarico di presidente dell'Alfa Romeo. La sua estromissione segnò la sconfitta, senza appello, della strategia che mirava ad attribuire all'Alfa Romeo un ruolo di primo piano sulla scena industriale del Paese. La crisi dell'azienda si sarebbe trascinata, senza soluzione, per oltre un decennio, concludendosi solo nel 1986 con l'acquisizione da parte della FIAT.
La contrapposizione netta tra il vertice dell'IRI e il Luraghi aveva radici profonde ed era fondata sulla diversità di vedute in merito alle strutture organizzative dello Stato imprenditore. Mentre il Luraghi cercava di delineare una coerenza interna al gruppo di imprese facenti parte della Finmeccanica, consolidando l'autonomia della sub-holding pubblica nei confronti dell'IRI, il presidente Fascetti voleva limitare il potere di indirizzo della Finmeccanica verso le aziende controllate, negandole la facoltà di collocare propri uomini nei consigli di amministrazione. La posizione di Fascetti rispecchiava peraltro le attese di larga parte delle forze di governo di esercitare un maggior controllo sull'attività dei manager pubblici in una fase di transizione per il sistema delle partecipazioni statali e di precisazione del ruolo dell'imprenditore pubblico nell'economia del Paese. A Luraghi successe Ettore Massacesi.

L'Ing Ettore Massacesi, succeduto a Luraghi.

1 - Il tramonto dell’Alfa Romeo (a cura di Elvira Rocco, tratto da  Club Alfa Sport  (www. alfa sport.net)
Ettore Massacesi, più che esperto e appassionato di automobili era un esperto di organizzazione aziendale e problemi del lavoro. Insieme a Corrado Innocenti (amministratore delegato) si insediò ai vertici dell'Alfa Romeo il 30 maggio 1978 annunciando che avrebbero portato in pareggio il bilancio in rosso nel giro di quattro anni,ma non fu così, anzi portarono l'Alfa Romeo nelle mani della Fiat alla fine del 1986.
La gestione Massacesi-Innocenti va ricordata come la gestione dei piani di settore, dei piani decennali non mantenuti, di numerose consulenze, di nuove direzioni e organigrammi che portarono ad un futuro sempre più incerto e a perdite sempre più ingenti.

Il 16 novembre del 1986, Giuseppe Luraghi in una lunga intervista a Franco Guidi sull'Avanti!, a proposito della gestione del periodo Massacesi dichiarava:
«Chi rileggerà cosa veniva propalato dai responsabili per cercare di giustificare le gravi perdite dell'ultimo decennio (assai superiori a quelle apparenti) circa una eccessiva capacità produttiva degli impianti, può ora sapere come in realtà stavano le cose. Mentre l'Alfa continuava a produrre vetture di 15 anni fa e a realizzare attività per coprire parzialmente le perdite, in un esigente settore in grande movimento, Bmw, Audi, Volvo, Mercedes, ecc. provvedevano a progettare e produrre vetture sempre più avanzate e rafforzavano le strutture commerciali e di assistenza».

Motore Alfasud
Alla domanda: Ha rimpianti per quello che l'Alfa Romeo avrebbe potuto essere e non è stata negli ultimi 20 anni?, rispondeva:
«Ho passato molti anni lavorando intensamente, ottimamente coadiuvato da collaboratori competenti, responsabili, orgogliosi della loro opera che ha portato l'Alfa dopo i disastri della guerra, al Nord e a Sud, da impresa artigiana semidistrutta nel settore delle automobili ad impresa industriale economicamente sana, e con un prestigio gestionale e tecnologico invidiato. Naturalmente il rimpianto di quei tempi difficili ma operosi è grande e ad essi si aggiunge il dolore di assistere all'ammainabandiera, all'avvio al tramonto dell'Alfa. Dico il tramonto, perchè penso che malgrado la buona volontà della Fiat di rispettare il marchio, la lunga esperienza mi insegna che i tempi, le situazioni, gli uomini cambiano ed inevitabilmente col passare degli anni i programmi si adeguano alle tecnologie più congeniali ed alle esigenze economiche dei gruppi gestori
Luraghi ricorda poi che trent'anni prima, alla scomparsa di Vincenzo Lancia, il presidente della Fiat era Valletta mentre lui era direttore generale della Finmeccanica.

Ci furono molti incontri tra i due nei quali si ipotizzò una importante ristrutturazione dell'industria automobilistica italiana che avrebbe valorizzato le capacità tecniche dei tre costruttori: La Fiat si sarebbe occupata della produzione di vetture in grande serie, l'Alfa avrebbe prodotto vetture con caratteristiche sportive e la Lancia vetture di prestigio.
Ma alla dirittura finale, Valletta comunicò che i suoi collaboratori lo avevano sconsigliato perchè la Fiat non poteva rinunciare a nessuno di questi settori.

E con queste parole chiude l'intervista: «Devo aggiungere che allora il professor Valletta valutava favorevolmente un'attività libera dell'Alfa Romeo, a varie riprese mi disse che se l'Alfa non ci fosse stata, sarebbe stato bene crearla, perchè bisognava evitare alla Fiat le accuse di monopolista nel settore auto».
Ecco come il tempo rovescia convincimenti e decisioni


29 Aprile 1968. L'Ing. Luraghi e l'On. Aldo Moro. Posa della prima pietra dell'Alfasud a Pomigliano

2 - LA NASCITA DELL’ALFA-SUD . (Conferenza di Rudolf Hruska e Domenico Chirico. Intervento di Giuseppe Luraghi. Milano, 13 giugno 1991. Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia

Resoconto di Conferenza

ALESSANDRO COLOMBO
Il tema di questa nostra conferenza è particolarmente ampio e comporta considerazioni anche di natura politica ed economica. Noi ci occuperemo anche di questi aspetti, ma, soprattutto, di quelli che sono stati i criteri che hanno portato all’impostazione tecnica di questo tipo di vettura, del perché di scelte inconsuete come quella del boxer, del perché di certe soluzioni stilistiche. Nessuno poteva fare questo meglio dell’ing. Rudolf Hruska e dell’ing. Domenico Chirico, che sono stati i padri di questa vettura.

Intervento dell'Ing. Rudolf HRUSKA
Sono onorato per la vostra presenza e per quella del dott. Luraghi, che tanto ha fatto per l’Italia in tempi in cui veniva detto che era impossibile costruire auto nel Sud, anche da parte del Numero Uno della automobile italiana.
Riandando a periodi che precedettero l’Alfa-Sud, ricordo che, nel 1959, lasciai l’Alfa-Romeo (costretto a dare le dimissioni, intendiamoci). Volevo tornare alla Porsche e avevo ricevuto l’offerta di dirigere la BMW. In quegli stessi giorni, a Torino, mi si offriva la collaborazione diretta al top management. La consulenza all’ing. Bono si svolse sia alla Fiat che alla Simca cosicché per anni la mia vita si svolse tra Torino e Parigi, finché non fui chiamato dal dott. Luraghi, che mi parlò di certi particolari programmi.
Al mio rientro a Milano, si sono precisati gli obiettivi desiderati ed è da qui che comincia la storia dell’Alfa-Sud.
Il prodotto, ovviamente, doveva essere “aggiuntivo” alla gamma Alfa-Romeo. Era necessario predisporre un “cahier de charge”, cosa che ho fatto in un piccolo ufficio vicino all’Alfa. Si stava in posti riservati perché e’erano già in giro dei giornalisti che erano interessati a sapere qualche notizia.

Si doveva progettare e mettere in serie una nuova vettura e anche costruire ex-novo la fabbrica che l’avrebbe prodotta. Era necessario eseguire un pre-studio che doveva contemplare gli investimenti globali il costo della vettura, il sistema organizzativo, il personale necessario, le tempificazioni.
Il dott. Luraghi non poteva fornire il personale poiché le risorse Alfa erano impegnate per lo stabilimento di Arese, che era allora in fase di completamento. Una prima risposta al problema venne da ex-personale Simca che in quel periodo era stata venduta dalla Fiat alla Chrysler; si trattava di persone, 28 per la precisione, quasi tutte italiane, molto esperte in personale, organizzazione, tecnologie, impiantistica e amministrazione.
Per il progetto, il dott. Luraghi mi mandò la persona che mi sta accanto assieme a qualche altro. Fu così che si iniziò lo studio della parte meccanica della vettura.

Alla metà gennaio 1968, è stata fatta la prima presentazione al management della Finmeccanica. Furono predisposti un modello in gesso della vettura (a 4 porte), un modello di abitabilità, un espanso della giardinetta e tutta la documentazione necessaria nella quale si indicava in 300 miliardi di lire l’investimento totale, 60 dei quali erano previsti per il prodotto (progetto, prototipi, messa a punto ecc.). Il piano prevedeva l’inizio della produzione al primo gennaio 1972. Erano quindi disponibili 4 anni per creare il prodotto e la fabbrica.
In quindici giorni ricevemmo l’OK e si iniziò a lavorare attivamente. Desidero ora alla fine e dire che andammo in produzione con tre mesi di ritardo perché avemmo quasi un milione di ore di scioperi in cantiere. Questo avvenne nel 1968, anno di elezioni: un politico della zona, rivolto agli operai dei cantieri, disse: “voi dovete essere assunti poiché siete voi a fare l’Alfa-Sud e non quelli lì”.
Malgrado la diffusa opinione che la fabbrica e la macchina non sarebbero nate in quei tempi (molti erano convinti che non sarebbero mai nate!) e le difficoltà nei cantieri, si ritardò di soli tre mesi, mentre i consuntivi indicavano la rimanenza di 25 miliardi di lire rispetto al budget previsto. Debbo ricordare che gli anni ‘70 furono segnati da scioperi in tutta Italia. Moltissime furono le fermate allo stabilimento, si lavorava a singhiozzo con conseguenze sulla qualità, non ultima la ruggine.

Ricordo anche, di sfuggita, che in quegli anni fui accusato di spionaggio industriale.
Adesso parliamo del prodotto. La vettura doveva essere un’utilitaria di lusso, una vettura a 5 posti con bagagliaio molto capiente. Si doveva trattare, naturalmente, di un’Alfa Romeo. Scontato che la vettura era a trazione anteriore, si voleva il motore in asse vettura per poter realizzare facilmente la versione a 4 ruote motrici (eravamo nel 19671). Fu scartato il 4 cilindri in linea perché troppo lungo: il 4 cilindri a V ed il contrapposto erano abbastanza corti, e l’ultimo fu il preferito perché più basso e molto bilanciato. Fu così possibile realizzare una berlina piuttosto bassa con una buona visibilità anteriore.

Intervento dell'Ing. Domenico CHIRICO
A proposito del motore, è interessante ricordare che il “cahier de charge” parlava di cilindrate comprese tra 1200 e 1500 cc. Decidemmo di sviluppare e mettere a punto per prima la cilindrata massima, da cui avremmo derivato il 1200. Lo stesso dicasi per gli altri organi di trasmissione.
La vettura fu messa a punto con il 1500 e non fu necessario apportare modifiche e adattamenti quando anni dopo questa cilindrata fu adottata definitivamente in serie.
Diciamo che il futuro ha dato ragione a questa strategia tanto che oggi la vettura è dotata di un 1712 cc, che conferisce notevoli prestazioni ad una vettura nel complesso abbastanza leggera. Ricordo, sempre a proposito di motori, che nel 1985, a richiesta della Finmeccanica, fu progettato un motore boxer di 2000 cc. Questo gruppo era un po’ più piccolo dell’attuale e ne furono costruiti alcuni prototipi ma la cosa, purtroppo, non andò avanti.
Resta in serie l’attuale boxer che potrebbe essere ancora leggermente incrementato in cilindrata utilizzando al massimo le potenzialità delle attrezzature di Pomigliano (già così predisposte nel 1968) .
Vediamo che il planning generale, che riguardava prodotto e stabilimento, e il planning per definizione disegno e approntamento parti meccaniche, indicano a metà luglio 1968 l’inizio prove al banco del motore. Ricordiamo che in questa data, il primo motore girò effettivamente e dopo una settimana si ebbe la prima rottura. A settembre, con una grossa modifica sanammo l’anomalia.
Nel definire la sequenza di uscita dei primi prototipi, desidero accennare ai problemi dell’impatto frontale. La prima prova fu un mezzo disastro perché il volante era quasi giunto vicino allo schienale del sedile mentre l’arretramento doveva essere limitato entro 127mm.

La soluzione fu poi trovata mediante una adeguata prolunga sistemata dietro al cambio, che portava la spinta nella zona centrale della vettura, ottenendosi così una adeguata dissipazione d’energia d’urto perché era coinvolto il pavimento con relative deformazioni.
Parlando del corpo vettura è da ricordare che fra i derivati della berlina figurava il coupé. Molti, ancora al giorno d’oggi, ricavano il cosiddetto coupé partendo dalla berlina, abbassando il tetto ed i sedili anteriori e realizzando una coda ad hoc su una scocca a due porte. La parte anteriore rimane inalterata con conseguenze inimmaginabili sull’estetica e sulla visibilità anteriore.
Nel caso della Sprint, il coupé derivato dalla berlina Alfa-Sud, fu possibile abbassare il tetto a cofano motore cosicché fu mantenuta una estetica filante oltre ad assicurare la dovuta visibilità.
 

Intervento di HRUSKA
Per lo stile della vettura mi sono avvalso di Giugiaro, col quale avevo già lavorato quando collaborava con Bertone e realizzammo l’850 per la Fiat.
Per l’aerodinamica si puntava ad un coefficiente di 0,40 onde essere competitivi. La lunghezza totale della vettura non doveva superare i 3,85 metri.
Un discorso particolare va fatto per le dimensioni del bagagliaio: a quell’epoca possedevo una valigia di grandi dimensioni che mi consentiva di stare in giro otto-dieci giorni. Sistemate due valigie nel simulacro dissi a Giugiaro di piazzarne altre due. Così è nata la parte terminale della vettura. Faccio notare che le quattro valigie non ci stanno su vetture moderne come la Thema e la 164.
Tornando all’Alfa-Sud, il due volumi, che nacque come conseguenza del desiderato bagagliaio, comportò una coda alta ed un lunotto la cui inclinazione, rispetto al piano verticale della coda, risultò tale da mantenersi pulito contrariamente a quanto accadeva alle Station Wagon o alle berline con piano lunotto piuttosto verticale. Tutto questo in virtù dei flussi d’aria che impedivano la risalita dei vortici dai terminali di scarico e che investono normalmente la parete verticale posteriore. Conseguenza del volume libero richiesto alla bagagliera sono state le cerniere esterne poiché i compassi interni avrebbero impedito il raggiungimento di tale obiettivo.

Per quanto riguarda la motorizzazione, la vettura nacque con una cilindrata modesta poiché la Direzione Commerciale temeva la cannibalizzazione con altri modelli di cilindrata più elevata. Oggi questo distanziamento motoristico fra vetture di segmenti diversi non esiste più e si ritrova sinergia commerciale con questo tipo di strategia estesa ai vari modelli della Casa.
La vettura doveva pesare a secco 800 kg. Abbiamo superato di circa 30 kg questo valore, in buona parte per causa di pneumatici e cerchi. La vettura era destinata a crescere di cilindrata e prestazioni e si decise di adottare, sin dall’inizio, pneumatici e cerchi adeguati, che pesavano circa 15 kg in più di quelli della 128 Fiat.
Parliamo ora dello stabilimento: è interessante ricordare che non adoperammo cemento, ma strutture metalliche. I vantaggi stavano nel facile intervento se si desiderava cambiare e nella possibilità di prefabbricare le dette strutture.

Alfasud Caimano
Ricordo che costruimmo i Reparti con altezza di due metri e mezzo superiore agli altri stabilimenti dell’epoca. Per quanto riguarda l’impianto idraulico esso assicurava il riscaldamento d’inverno ed un certo raffrescamento d’estate.
Prima di scaricare definitivamente l’acqua utilizzata in stabilimento si effettuavano più ricicli e questo riduceva notevolmente i consumi. Tutto questo e altro è stato possibile anche per le conoscenze di quei 28 collaboratori venuti dalla Simca, che avevano una esperienza di trenta-quaranta anni in industrie similari.

Avevamo definito in 50 ore il tempo di fabbricazione della vettura. Si puntava, dopo un adeguato periodo di addestramento delle persone del primo turno, ad arrivare a 45 ore per la cosiddetta vettura base o standard.
Il costo corrispondente, o costo standard, è la base di partenza per tutti gli altri costi che vengono ottenuti aggiungendo i costi delle varianti delle vetture derivate, gli opzionali, ecc. Con mio dispiacere, per molto tempo tutto ciò non è stato apprezzato e solo oggi è stato espresso apprezzamento per questa fabbrica che è tuttora moderna.
Non avevamo i robot, non li aveva nessuno, ma tutti i programmi sono stati raggiunti, siamo andati in produzione dopo 4 anni e costruimmo al tempo programmato le cento vetture di pre-serie.
Posso dire che questo è avvenuto perché c’è stata una collaborazione mutua molto stretta. Oggi si sta allargando Pomigliano: verrà portata, pare, la produzione a 1500 vetture al giorno e ciò conferma ancora che lo stabilimento era razionale.

Riandando per un momento al lontano passato ricordo che sono stato fino al 1959 in Alfa e la mente va a tante cose: alle trecento ore impiegate per il montaggio di ogni motore della 1900, alla pulizia di tutti i rottami che erano in magazzino (erano tenuti fermi per il bilancio di fine d’anno!) ecc. Ero arrivato in Italia per realizzare la monoposto Cisitalia ed ho imparato a conoscere gli italiani. Sono rapidissimi nell’apprendere ma bisogna seguirli fino in fondo; con i tedeschi si discute molto tempo prima di partire, poi, però, si può andare in vacanza. Questa è la differenza.
Debbo citare, prima di finire, uno sgradevole episodio a causa di certi articoli apparsi sul giornale II Borghese. Non sopportando questa situazione andai a trovare il direttore della rivista, il senatore Tedeschi. Avemmo un colloquio di due ore e mezzo al termine del quale egli decise di non scrivere più contro l’Alfa-Sud: impegno che mantenne. In seguito, disse a un comune amico di aver discusso con uno degli ultimi Asburgo.

Sulla situazione Alfa di oggi ci sarebbe da discutere molto, ma voglio solo riferire quanto ha recentemente dichiarato il Direttore Generale dell’Audi, un nipote del Prof. Porsche. In un’intervista a un giornalista, ha definito l’Audi l’azienda nobile della Volkswagen e ha ammesso che, mentre dal punto di vista della qualità Audi e VW sono eguali, prestazioni e prodotto debbono essere differenti. Se non fosse così l’Audi sarebbe destinata a chiudere.
A Torino non si è capito che per l’Alfa è la stessa cosa, ma la Ford, pare, l’aveva ben compreso.

Intervento di CHIRICO
Un breve intervento per la 164, visto che i giornalisti hanno scritto cose inesatte e la verità, prima o poi, va detta.
Anzitutto non è vero che 164, Saab e Thema sono state studiate assieme. E’ stato stilato, nel settembre 1982, un accordo di collaborazione industriale tra Fiat e Alfa con lo scopo di cumulare un certo numero di elementi comuni tra 164, Thema e Croma in maniera di ridurre i costi unitari. Si trattava di “elementi che non fanno immagine”. Il totale delle tre vetture portava a 150.000 pezzi/anno e si potevano perciò raggiungere costi competitivi per questi elementi comuni. L’inizio delle discussioni avvenne alla metà del 1981. L’accordo fu siglato nel settembre 1982 e, dopo di allora, Fiat consegnò disegni e due autotelai meccanizzati per costruire i primi due modelli di stile.

Poiché la Thema è nata poco dopo la metà del 1984, si comprende che gli studi di questa vettura datano a molto prima e precisamente al 1978. L’Alfa è arrivata dopo, perché ha iniziato 4 anni più tardi.
La sinergia non è stata spinta alla struttura poiché ciò avrebbe significato realizzare una vettura molto vicina alla Thema. La 164, invece, nacque più bassa della Thema, sia nella zona tetto che sul cofano anteriore ed è risultata, perciò, esteticamente più gradevole perché più filante.



Intervento dell’Ing. Giuseppe LURAGHI
Mi avete fatto rivivere momenti molto importanti della mia vita e ho sentito in voi della commozione in quei ricordi: una commozione anche mia. Ringrazio Hruska per le belle parole che ha detto per me; mi ha dato dei meriti certamente superiori a quelli che mi competono. I meriti di quanto è stato fatto sono veramente di tutti gli ottimi collaboratori che ho avuto.
Voglio citare qualche episodio che può chiarire le grandi difficoltà che abbiamo dovuto superare per realizzare l’Alfa-Sud.
L’Alfa-Sud doveva essere realizzata perché l’Alfa Romeo era arrivata a una produzione ad Arese che, per gli ulteriori sviluppi richiesti dal mercato, richiedeva altri ingrandimenti con altra immigrazione di popolazione del sud, che a Milano non poteva trovare i mezzi necessari per una vita civile.
D’altra parte, noi avevamo una tradizionale attività a Napoli e un grande stabilimento,, distrutto dalla guerra che aveva fatto motori d’aviazione. In tali stabilimenti parzialmente ricostruiti avevamo ripreso una produzione di autocarri e motori, che poteva costituire un nucleo di base anche per la preparazione dei tecnici e del personale da destinare a nuove iniziative.

Per fortuna, la Fiat si è accorta molto tardi che quello dell’Alfa-Sud era veramente un progetto serio, che noi dell’Alfa volevamo tutti realizzare. Dico per fortuna, perché dal momento in cui alla Fiat hanno cominciato a vedere che effettivamente le cose si facevano, l’atteggiamento cambiò violentemente; in proposito, è significativo l’atteggiamento del signor Gianni Agnelli il quale, ad una Commissione Parlamentare del 1969, (per fortuna Aldo Moro aveva già posato la prima pietra nel 1968, in una cerimonia ufficiale), presieduta da Giolitti, ha dichiarato cose, a mio avviso, non corrispondenti al vero.
La prima affermazione era che, in quel momento, la produzione e la strumentazione italiana per fare automobili era largamente sufficiente per i successivi dieci anni. In quel momento, circolavano otto milioni di automobili, dieci anni dopo ne circolavano 16 milioni e poi 23 milioni nel giro di vent’anni, con un vertiginoso aumento di importazioni.

La seconda era che non si poteva sviluppare l’industria automobilistica nel Sud per ragioni tecniche ed economiche.
Ebbene, esattamente tre mesi dopo che Agnelli aveva fatto queste dichiarazioni, l’ingegner Bono, vice-presidente Fiat, andò a dichiarare all’allora ministro della programmazione che la Fiat avrebbe costruito due stabilimenti proprio nel Sud.
E adesso voi sapete che la Fiat dichiara che i suoi sviluppi sono tutti previsti nel mezzogiorno (naturalmente con l’aiuto dello Stato).
Da quel momento, noi abbiamo avuto una quantità di difficoltà di carattere sindacale e politico, però siamo andati avanti, perché sapevamo che il nostro programma era onesto e adeguato alle nostre necessità ed a quelle del Paese.
Oltre alla nostra produzione, avevamo iniziato a facilitare la creazione di una quantità di altre piccole industrie accessorie con molti operai che, come voi sapete, per le industrie automobilistiche sono molto importanti.

Questo lo dichiaro e l’ho scritto centomila volte, naturalmente senza nessuna conseguenza altro che quella di dare al Paese un’informazione esatta. Ma no, non serve a nulla: i potenti continuano come se niente fosse.
Prima della opposizione della Fiat, avevamo ottenuto il permesso del CIPE, del Ministero delle Partecipazioni, dell’IRI per fare questa fabbrica, però a Napoli non riuscivamo ad ottenere il permesso di realizzare il nuovo impianto nel nostro stesso terreno già predisposto.
Ne dicevano di tutti i colori. Chi violentemente si opponeva diceva, per esempio, che non c’era la possibilità di realizzare i trasporti necessari: ciò mentre, figuratevi, da molti anni esisteva un raccordo ferroviario con la fabbrica, che funzionava; l’autostrada passava a circa due o tre chilometri; l’aeroporto era a un quarto d’ora di tempo.

Moro aveva mostrato interesse per l’iniziativa: allora, sono andato dal presidente per sbloccare la situazione e gli ho raccontato cosa stava avvenendo. Moro mi disse che se ne sarebbe occupato.
Qualche giorno dopo mi invitò ad andare con lui a Pomigliano perché doveva inaugurare un treno veloce sulla linea Roma-Napoli; io non potevo andarci e lo feci ricevere dal Direttore di allora della nostra fabbrica locale, che era al corrente di tutto.
Moro andò a vedere il terreno, accompagnato dal prefetto (un uomo che io ricorderò sempre perché dimostrò di essere veramente coraggioso). Dopo aver visto il terreno, Moro domandò al prefetto: “Ma allora perché non viene dato questo permesso?”
E la risposta fu: semplicemente perché ci sono dei grossi politici locali, i quali hanno ottenuto un’opzione su altri terreni, che intendono vendere all’Alfa Romeo con relativo beneficio.
Moro ha dimostrato di essere molto diverso da quello che io in quel momento credevo; dopo pochi giorni arrivò il permesso per costruire la fabbrica e alla posa della prima pietra, fatta dallo stesso Moro, erano gioiosamente presenti anche tutti coloro che l’avevano ostacolata.

Questa è la verità. A me rimane solo l’amarezza di constatare come avvengano certe cose nel nostro Paese.
Sapete che io sono stato cacciato dall’Alfa Romeo, (non è che me ne sono andato, sono stato cacciato) perché mentre stavamo rodando, fra molte difficoltà anche sindacali (comprese minacce camorristiche) l’Alfa-Sud, ad un certo momento arrivò un tassativo ordine dell’onorevole Gullotti, allora Ministro delle Partecipazioni Statali, e dall’obbedientissimo presidente dell’IRI, prof. Petrilli, che fece una proposta inaccettabile: voi dovete fare un’altra fabbrica automobilistica ad Avellino. A chiaro vantaggio di De Mita.
La fabbrica ad Avellino era assolutamente impossibile da fare perché richiedeva una spesa di molte centinaia di miliardi, che sarebbero stati buttati via. Avrebbe anche danneggiato l’inizio dell’attività dell’Alfa-Sud, e tutto ciò per favorire la base elettoralistica di un politico.
Tutti noi dell’Alfa Romeo ci opponemmo, io in testa, come massimo responsabile. La fabbrica, allora, non si fece, però, dopo alcuni anni, hanno fatto quella inspiegabile combinazione Alfa-Nissan che, naturalmente, ebbe vita breve.
Il popolo italiano paga e sta zitto. Questo tipo di abusi, secondo me, sono anche peggiori delle vergognose bustarelle, perché rovinano strutture delicate. L’IRI ha continuato ad affermare che nel Gruppo esistevano grandi problemi di carattere tecnologico da affrontare. Ora, se c’è un settore nel quale l’industria italiana ha una capacità di carattere tecnologico e tecnico assolutamente a livello mondiale è proprio quello dell’automobile.

Bene, anziché riorganizzarla, l’IRI ha svenduto proprio l’Alfa Romeo, spacciando l’operazione come una vendita favorevole per il Paese. In realtà, si è trattato di un’operazione dì ben altro tipo. E così l’Alfa-Sud, a suo tempo violentemente contrastata, ora risulta una delle migliori fabbriche del patrimonio Fiat nel Mezzogiorno.

Devo aggiungere che allora il professor Valletta valutava favorevolmente un'attività libera dell'Alfa Romeo, a varie riprese mi disse che se l'Alfa non ci fosse stata, sarebbe stato bene crearla, perchè bisognava evitare alla Fiat le accuse di monopolista nel settore auto.
Ecco come il tempo rovescia convincimenti e decisioni



40° Alfasud. Stabilimento di Pomigliano, 1972-2012.



















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