domenica 9 giugno 2013

Evento "Pomigliano industriale: una questione settentrionale. "La scelta di Sophie" di Marchionne

da Dedicato a Pomigliano d'Arco (Note) Mercoledì 7 marzo 2012 alle ore 23.16



Dal film "La scelta di Sophie". Scena del nazista che chiede a Sophie uno dei suoi due figli. In caso contrario li avrebbe ammazzati tutti e due

"La scelta di Sophie" di Marchionne, un manager arrogante e dai risultati deludenti in Europa

Dedicato a Pomigliano d'Arco", con questa nota anticipa un pezzo del percorso pianificato per l'attuazione dell'evento "Pomigliano industriale: una questione settentrionale" in virtù di interviste, notizie stampa e smentite fatte da Marchionne, Ad di Fiat, nelle scorse settimane.Al momento della inaugurazione della Nuova Panda a Pomigliano, il 14 Dicembre 2011, abbiamo sentito
Marchionne dire: "Non era e non è vantaggioso investire su Pomigliano ma l'abbiamo fatto per il legame e il senso di dovere che ha la Fiat verso il paese". In tal modo il messaggio, velatamente minaccioso, che è stato dato ai lavoratori  ed al paese è che  Marchionne non creda fino in fondo agli  investimenti fatti a Pomigliano. La  sua vittoria sul sindacato italiano condotta come "lotta di classe senza quartiere" della produzione contro il lavoro, non gli è sufficiente. Ha diviso il sindacato e vuole ancora altro,  vuole trovare capri espiatori su cui riversare le conseguenze di scelte che non portano risultati soddisfacenti in Europa. 
Sul Corriere della Sera del  24 febbraio 2012, in una lunga intervista rilasciata al giornalista Massimo Mucchetti, Marchionne dichiarare che se  non funzionassero le esportazioni verso gli Usa la Fiat dovrebbe ritirarsi da 2 siti dei 5 in attività (Mirafiori, Cassino, Atessa, Melfi e Pomigliano
Il giornalista chiede: “Quali?”
 Marchionne: «Ricorda Sophie's choice ? Nel film, alla fermata del treno il nazista chiede a Sophie uno dei suoi due figli. In caso contrario li avrebbe ammazzati tutti e due. Sophie resiste, ma alla fine deve scegliere e passa il resto della sua esistenza con l'incubo di quella decisione. Dunque, per favore, non me lo chieda».Incredibile la risposta  ed incredibile l'accostamento che questo Manager che fa si sè e della sua Azienda (non sua) con il pensiero nazista, un Manager sempre poco trasparente ed arrogante nei confronti di una Italia che è stata sempre generosa con la Fiat. Un'azieda che ha saputo solo salvare le "province deboli" come ironicamente amava dire Gianni Agnelli quando si è trattato di annettersi ( a costi zero o fuori mervato) tutte le altre case automobilistiche italiane a cominciare dai grandi marchi storici della Lancia e dell'Alfa Romeo facendo tabula rasa della competizione  delle industrie italiane (unico esempio negativo in tutta Europa) . Un Manager, il Marchionne, a cui sono stati tributati  successi negli USA ed iniziali successi di risanamento della Fiat in Europa dove adesso i suoi risultati sono molto deludenti .
Immagine di La Repubblica- Supplemento Affari e Finanza del 5 marzo 2012 Anno 27 n.8
Marchionne ha sempre dichiarato (in verità in modo sempre poco convincente ) che gli oltre 5000 operai in cassa integrazione al Giambattista Vico di Pomigliano sarebbero stati assorbiti con la produzione a regime di 1050 Nuove Pande al giorno. Se gli inizi di marzo 2012 la produzione di questo modello si assesta a 900 auto al giorno con 1800 operai "reintegrati", è comprensibile che non tutti i rimanenti "cassaintegrati "saranno riassunti al G. Vico. Pertanto si tratta di promesse ed accordi che verosimilmente non potranno essere mantenuti. Allora si tratta di valutazioni sbagliate oppure di comportamenti colposi. In entrambi i casi la casa automobilistica ha poco da continuare a"ciurlare nel manico".Noi non sappiamo fin dove si spingerà ancora questo Manager (che, ricordiamo, si è visto rifiutare, non a caso a nostro avviso, la presenza del  Presidente della Repubblica in occasione della inaugurazione della nuova Panda). E' lui che ha dichiarato la possibilità della chiusura di qualche stabilimento in Italia , salvo correre tempestivamente ai ripari affermando l'incontrario.
Marchionne pertanto non è attendibile!
Non siamo analisti del settore però qualche considerazione la azzardiamo. Ci chiediamo, as esempio,  se Marchionne goda ancora della incondizionata fiducia della Famiglia Agnelli . Amiamo pensare che Gianni Agnelli , nonostante l'ampio potere di manipolare la politica ai suoi tempi, non avrebbe voluto ciò che è successo negli ultimi tempi in Fiat, nel senso che avrebbe condotto e guidato l'azienda almeno con un altro stile. C'è da dire che oggi non sembra esserci  un Gianni Agnelli nella famiglia. John Elkann (presidente della Fiat Spa) sembra non dimostrare, forse per la sua giovane età e breve esperienza, le capacità del suo nonno Gianni Agnelli e, se così è, questo fa di Merchionne un persona con ampi poteri di definire gli indirizzi secondo il suo proprio stile (indirizzi che invece dovrebbero essergli forniti dagli Agnelli stessi in quanto imprenditori).  

A seguito delle notizie relative alla possibile chiusura di Pomigliano abbiamo operato una selezione di articoli che proponiamo ai nostri lettori:
1)   Fiat, la scelta di Marchionne addio Mirafiori e Pomigliano (da La Repubblica- Supplemento Affari e Finanza del 5 marzo 2012 Anno 27 n.8 

2) La Fiat: "Non esiste alcun piano per chiudere stabilimenti in Italia" (da la Repubblica .it , Economia e Finaza del 5 marzo 2012)
3) I bluff di Marchionne di Dario Ferri  (da Giornalettismo.com - 6 marzo 2012) 

  • 1) Fiat, la scelta di Marchionne addio Mirafiori e Pomigliano
Marchionne e i suoi 5 “figli”-La FIAT verso il sacrificio di Mirafiori e Pomigliano
(da La Repubblica- Supplemento Affari e Finanza del 5 marzo 2012 Anno 27 n.8)

di PAOLO GRISERI

Quali sono gli stabilimenti Fiat dal futuro più incerto in Italia? Dopo l’intervista di Sergio Marchionne (senza il mercato americano "dovremmo ritirarci da due siti su cinque") la radiografia delle fabbriche dell’auto al di qua delle Alpi si impone. Negli ultimi giorni, a proposito dell’intervista, Marchionne ha precisato: "Era un’ipotesi, lavoreremo per garantire l’attività di tutti". Ma siccome la battuta sui due siti in eccesso non si può considerare una voce dal sen fuggita, vale la pena verificare.
Dei cinque stabilimenti di cui parla l’ad del Lingotto, uno è fuori gioco. E’ quello della Sevel di Atessa, in Val di Sangro, che produce furgoni e veicoli commerciali in joint venture con Psa. E’ una delle poche fabbriche italiane della Fiat che lavora a pieno ritmo nonostante la crisi. Al punto che nelle scorse settimane per non aver firmato un accordo sui recuperi produttivi, la stessa Fim ha rischiato di incappare nelle sanzioni disciplinari previste dal nuovo contratto del gruppo entrato in vigore il 1 gennaio.

Insomma alla Sevel si lavora a pieno ritmo. L’unica incognita sul futuro della fabbrica riguarda le conseguenze del recente accordo tra i francesi di Psa e gli americani di Gm. Se il nuovo socio statunitense chiedesse a Peugeot e Citroen nuove sinergie nel settore dei veicoli commerciali, è evidente che rischierebbe di saltare la decennale joint venture tra Torino e Parigi. In quel caso le conseguenze toccherebbero inevitabilmente la fabbrica di Val di Sangro. Ma è comunque uno scenario di fine decennio perché fino al 2017 l’alleanza industriale tra i due costruttori è garantita da un accordo.
Rimangono dunque sul tavolo i quattro stabilimenti dell’auto. Il quinto, Termini Imerese, ha cessato la produzione automobilistica il 31 dicembre scorso come ampiamente preannunciato, con trenta mesi di anticipo, dall’ad di Torino. Marchionne ipotizza che due di queste fabbriche siano a rischio chiusura nel caso in cui non riescano a sfruttare l’opportunità offerta dall’eccesso di domanda del mercato Usa.

Immagine di La Repubblica- Supplemento Affari e Finanza del 5 marzo 2012 Anno 27 n.8
Naturalmente Sergio Marchionne precisa che in realtà ci sono tutte le condizioni perché gli stabilimenti italiani ce la facciano a cogliere quell’opportunità. Ed è immaginabile che la sua frase serva nella continua battaglia di pressioni nei confronti del sindacato per ottenere condizioni di lavoro sempre più favorevoli all’azienda.
Inoltre la Fiat sarà prossimamente sul banco degli imputati nei processi aperti dalla Fiom per comportamento antisindacale. I metalmeccanici della Cgil accusano Marchionne di aver violato il diritto dei lavoratori ad essere rappresentati in fabbrica dai sindacati che preferiscono. Battaglia complessa perché aperta in ogni città in cui la Fiat ha stabilimenti. Decine di tribunali dovranno esprimersi e può convenire a Marchionne far sapere che ci sono stabilimenti a rischio di chiusura se l’azienda si troverà ad operare in un ambiente ostile.

Al di là delle convenienze tattiche dell’ad, è evidente che non tutti i quattro stabilimenti di produzione automobilistica del gruppo si trovano nelle stesse condizioni.
Rischia poco o nulla, ad esempio, la fabbrica di Melfi. E’ il principale stabilimento italiano della Fiat, oggi sforna 250 mila Punto ed è il perno della produzione delle utilitarie. In futuro i programmi dicono che potrebbe arrivare a produrre quasi 400 mila vetture.

Immagine di La Repubblica- Supplemento Affari e Finanza del 5 marzo 2012 Anno 27 n.8
E’ stata la prima fabbrica ad essere organizzata secondo i criteri produttivi che ora Marchionne ha deciso di esportare in tutto il gruppo. Infine Melfi non potrebbe ragionevolmente vivere sull’esportazione in America. Prima di riuscire a vendere la Grande Punto a Chicago deve passare molto tempo. Non è dunque Melfi uno dei due stabilimenti in bilico di cui parla Marchionne nell’intervista.
Molto a rischio è invece lo stabilimento torinese di Mirafiori. Non nella sua parte direzionale, i 5.000 impiegati della palazzina dove si governano tutte le attività di Fiat Auto nel mondo. Ma nella sua parte produttiva, sulle linee di montaggio delle Carrozzerie dove sono impiegati altri 5.000 lavoratori. Meglio sarebbe dire che sono in organico perché ormai da un anno le linee di Mirafiori sono quasi totalmente ferme. Il prodotto principale è stata la cassa integrazione alla quale l’azienda ha fatto ricorso in modo massiccio per sopperire alla mancanza di modelli.
Fino a tre anni fa si realizzavano a Torino Alfa 166, Thesis, Idea, Musa, Multipla e Mito. Oggi di quei modelli resta solo la Mito. Idea e Musa vengono ancora prodotte in quantità limitata in attesa di essere soppiantate dai due piccoli monovolume che saranno realizzati nello stabilimento serbo di Kragujevac a partire dai prossimi mesi.

Immagine di La Repubblica- Supplemento Affari e Finanza del 5 marzo 2012 Anno 27 n.8
Mirafiori sopravviverà dunque con la sola Mito fino al dicembre 2013 quando dovrebbe iniziare la produzione di un minisuv con il marchio Fiat seguito a metà 2014 da un altro piccolo suv con il marchio Jeep. Secondo i piani dell’azienda queste due automobili dovrebbero essere prodotte in 250 mila pezzi all’anno e saranno destinate al mercato mondiale, Usa compresi. "Stiamo procedendo alla velocità della luce, l’investimento di Mirafiori è confermato", ha risposto nei giorni scorsi Marchionne alle preoccupazioni di chi aveva letto nelle sue parole una dichiarazione di morte per lo stabilimento torinese. Ma è un fatto che la partenza della produzione dei due minisuv era prevista per fine 2012 ed è stata posticipata di un anno.
E’ un altro fatto che nel corso del tempo l’identità dei modelli su cui dovrà vivere la fabbrica di Torino è cambiata diverse volte: nel 2010 erano berline del gruppo Chrysler, poi sono diventati monovolume (quelli successivamente finiti in Serbia), poi suv medi del segmento C, infine piccoli suv realizzati sul pianale delle utilitarie.

Immagine di La Repubblica- Supplemento Affari e Finanza del 5 marzo 2012 Anno 27 n.8

Tutta questa incertezza non fa che abbassare il rating di Mirafiori nel borsino degli stabilimenti. Ad aumentare i timori c’è la stessa metafora scelta dell’amministratore delegato del Lingotto per spiegare in quale dilemma si troverebbe dovendo tagliare capacità produttiva.
"Ricorda La scelta di Sophie?", chiede Marchionne a Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera. E prosegue: "Nel film, alla fermata del treno il nazista chiede a Sophie uno dei suoi due figli. In caso contrario li avrebbe ammazzati tutti e due". Qual è lo stabilimento italiano della Fiat che ha un valore simbolico paragonabile a quello di un figlio?
Anche ammettendo che, sempre nell’ipotesi di una crisi drammatica, Marchionne fosse costretto a sacrificare la fabbrica di Mirafiori, rimarrebbe ancora un sito da chiudere. Uno tra Cassino e Pomigliano. Nella fabbrica vicino a Napoli il Lingotto ha investito 700 milioni negli ultimi anni per trasformarla nel polo produttivo della Nuova Panda. Un investimento "non totalmente razionale, fatto anche per senso di responsabilità verso l’Italia", ha aggiunto recentemente il manager di Torino. Il punto di forza di Pomigliano sta proprio nel fatto che la chiusura significherebbe annunciare al mondo di aver perso una scommessa anche un po’ temeraria.
Immagine di La Repubblica- Supplemento Affari e Finanza del 5 marzo 2012 Anno 27 n.8
Il punto debole è nella vasta scelta di stabilimenti alternativi a disposizione di Marchionne. La Nuova Panda potrebbe essere prodotta di nuovo in Polonia, da dove è stata trasferita, o nel nuovo stabilimento serbo, a poche centinaia di chilometri dall’Italia, principale mercato dell’utilitaria.
Infine c’è la fabbrica di Piedimonte San Germano, vicino a Cassino. E’ l’unico polo italiano di produzione delle auto di segmento C, quello delle medie, dove il Lingotto ha sempre avuto difficoltà a sfondare. Cassino produce una ‘media’ per marchio: la Brava per la Fiat, la Delta per la Lancia ed la Giulietta per l’Alfa. Difficile pensare che Marchionne voglia chiudere questa fabbrica. Potrebbe semmai rispolverare un vecchio progetto pubblicato come indiscrezione dalla stampa tedesca ai tempi del tentativo, fallito, di acquisto della Opel da parte di Torino.
All’epoca, era l’estate 2009, era circolata l’ipotesi dell’accorpamento in un unico polo delle attività produttive di Cassino e Pomigliano, due fabbriche anche geograficamente non distanti, meno di cento chilometri di autostrada. Ipotesi comunque abbastanza azzardata che la Fiat non ha mai confermato.

Questo è il quadro. In caso di pericolo lo stabilimento più a rischio appare oggi Mirafiori, quello più sicuro Melfi. Ma sono scenari che possono cambiare in fretta, con la modifica delle missioni produttive dei diversi siti.
Preoccupa comunque i sindacati l’idea che una parte della produzione italiana sia così strettamente legata all’andamento del mercato statunitense. Che oggi va a gonfie vele e nel 2011 ha superato la soglia dei 15 milioni di auto vendute. Ma che domani potrebbe tornare in crisi creando problemi al pieno utilizzo degli impianti nella Penisola.
Inoltre Marchionne ha messo esplicitamente in concorrenza, per soddisfare l’eccesso di domanda del mercato statunitense, gli stabilimenti italiani, messicani e canadesi. Una battaglia difficile da vincere sul terreno dei costi, anche solo per ragioni logistiche.
L’alternativa sarebbe quella di rendere gli stabilimenti italiani più orientati al mercato europeo con nuovi prodotti in grado di sfondare anche oltralpe dove invece il gruppo Fiat continua a incontrare difficoltà. Anzi, nel mese di febbraio i problemi hanno cominciato ad esse evidenti anche sul mercato domestico.
In Italia la Fiat si allontana sempre di più dalla soglia del 30 per cento, cedendo altro terreno alla concorrenza straniera. Nei prossimi mesi si vedrà quale effetto riequilibratore potrà avere la Nuova Panda per aumentare le vendite europee del Lingotto.



2)  La Fiat: "Non esiste alcun piano per chiudere stabilimenti in Italia"
      (da la Repubblica .it , Economia e Finaza del 5 marzo 2012)

Il gruppo smentisce le indiscrezioni di stampa e minaccia azioni legali contro la diffusione di "notizie e documenti falsi". Il ministro Fornero sente Marchionne ed Elkann: "Il presidente e l'amministratore delegato mi hanno confermato che l'impegno preso con il nostro paese va avanti"


"Non esiste alcun piano di chiusura di impianti automobilistici in Italia". Il gruppo smentisce categoricamente, con una nota ufficiale, le indiscrezioni di stampa su presunti progetti del Lingotto per chiudere stabilimenti in Italia. L'azienda si riserva inoltre "iniziative di tutela in merito ad illeciti connessi alla diffusione di notizie o documenti falsi".

"Articoli di stampa apparsi in questi giorni - si legge nel comunicato del Lingotto - hanno attribuito a Fiat l'intenzione di chiudere gli stabilimenti di Mirafiori e Pomigliano d'Arco. In particolare, il sito affaritaliani.It ha pubblicato oggi una tabella che riguarderebbe le future produzioni della Fiat in Italia e dalla quale si desumerebbe l'esistenza di un piano Fiat riguardante la chiusura degli stabilimenti di Mirafiori e Pomigliano. Tale tabella non riflette in alcun modo né i piani, né le intenzioni di Fiat".

"Lo stabilimento di Pomigliano - prosegue la nota - produce da circa quattro mesi la nuova Panda, vettura di punta del marchio F; per Mirafiori il piano, che è stato stabilito e annunciato, prevede la produzione di due modelli: una vettura del brand Fiat a partire da fine 2013 ed una del brand Jeep a partire dal secondo trimestre 2014. Come già più volte sottolineato l'azienda da tempo ha deciso di comunicare le produzioni future stabilimento per stabilimento, in relazione all'andamento dei mercati internazionali".


Le voci, però, come confermato oggi da "Affari&finanza" di Repubblica, si fondano su ragionamenti e ipotesi concrete che alimentano le preoccupazioni soprattutto dove i siti Fiat sono fondamentali per l'economia delle zona di insediamento. In Puglia, dove il Lingotto dà lavoro a 3400 lavoratori, il consiglio regionale ha preso posizione con un documento scaturito dall'incontro fra i vertici dell'istituzione, i capigruppo e la Fiom pugliese: "Gli stabilimenti Fiat non possono diventare le fabbriche della paura - si legge mel documento - . Nessuna azienda del gruppo torinese deve chiudere in Puglia e nessun posto di lavoro deve andare perso. Il deficit di democrazia sindacale, il rischio chiusura che incombe su due siti in Italia e l'attacco ai diritti della maternità sono le preoccupazioni dei lavoratori condivise dal Consiglio regionale".



3) I bluff di Marchionne
(Da Giornalettismo.com)
di Dario Ferri
6 marzo 2012
Con cadenza ormai regolare Fiat comunica che non lascerà l’Italia. Oggi il gruppo torinese ha smentito le ipotesi di chiusura degli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori, sottolineando le già programmate produzioni di due vetture nei prossimi anni. Parole non troppo chiare su un legame ormai reciso da tempo nel cuore e nella mente del Ceo di Fiat, Sergio Marchionne, che ha deciso in piena legittimità di ancorare le sorti dell’azienda da lui guidata a mercati esterni a quello italiano. Mentre l’industria dell’automobile tedesca premia i suoi dipendenti con bonus record, la nostra unica impresa in questo settore un tempo simbolo del sistema Italia è sempre più proiettata verso una fuga ingloriosa.
Sergio Marchionne ha dispensato negli ultimi anni numerose lezioni su come far crescere l’Italia, ma non è ancora riuscito nell’ormai suo lungo percorso al vertice della Fiat a riportare il gruppo ai vertici dell’automotive europeo. Nonostante l’enorme credito goduto sulla stampa, i flop commerciali sono proseguiti senza sosta e la crisi dell’automobile Usa è arrivata propizia per realizzare una fusione che ancora oggi pare aver portato poche cose positive al sistema Italia. Dalla nascita di Fiat-Chrysler si è accelerato solo lo scontro coi sindacati, con epocali e alla fine inutili scontri con la Fiom sul destino degli stabilimenti di Pomigliano prima e Mirafiori poi.

Marchionne ha avuto il merito di risollevare il gruppo torinese dalla sua fase più cupa, ma dopo la prima ristrutturazione sono stati compiuti pochi passi in avanti , e i movimenti appaiono sempre più laterali al destino del paese che ha permesso a Fiat di essere quello che è. Decenni di aiuti incondizionati, fiumi di denaro che hanno permesso al gruppo di mantenere il suo predominio italiano dovrebbero quantomeno ispirare una risposta sincera e trasparente sulle reali intenzioni del Lingotto, invece che continui e costanti stillicidi di smentite che convincono sempre meno ogni volta che li si legge. L’enorme aiuto concesso a Fiat e il costante appoggio delle classi dirigenti nei confronti dell’azienda torinese  meriterebbero quantomeno rispetto e trasparenza, invece che sproloqui immaginifici sulle magnifiche sorti progressive del mondo narrati da uno dei suoi AD più famosi e al momento più deludenti.
Enrico Berlinguer all'Alfa Sud durante il comizio tenuto davanti ai cancelli dell'Alfa Sud il 30 maggio 1979. Collezione fotografica dell'associazione il "Pettirosso" (da Storia di Pomigliano dalle origini di Basile-Esposito)

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