domenica 9 giugno 2013

I Pomiglianesi. Racconti e testimonianze di compagni del movimento studentesco

da Dedicato a Pomigliano d'Arco (Note) Domenica 16 settembre 2012 alle ore 19.29

Movimento studentesco

I Pomiglianesi. Racconti e testimonianze di compagni del movimento studentesco
(di Nello Manfrellotti)

Da Nello Manfrellotti riceviamo questi racconti che volentieri pubblichiamo. Essi si riferiscono a squarci di vita del gruppo del movimento studentesco Movimento lavoratori per il Socialismo di Pomigliano. I racconti sono stati pubblicati nel libro  “Dal ’68 al futuro. Racconti e testimonianze di compagni del Movimento Studentesco, arrendersimai@mov, collana Passato e futuro, edizione CUEC (Cooperativa Universitaria Editrice Cagliaritana), Aprile 2012.


“Dal ’68 al futuro. Racconti e testimonianze di compagni del Movimento Studentesco, arrendersimai@mov, collana Passato e futuro, edizione CUEC (Cooperativa Universitaria Editrice Cagliaritana), Aprile 2012.

Il gruppo di Pomigliano arriva al Ms Mls (Movimento studentesco Movimento Lavoratori per il Socialismo) verso la fine del  1975 inizio 1976 , è il periodo in cui a Milano si lavorava per costruire una organizzazione  politica più articolata,  con maggiori diramazioni territoriali e nazionali, nei luoghi di studio e lavoro, un percorso in cui era certamente intelligente e utile, nonché lungimirante, coinvolgere diversi gruppi locali già strutturati.  All’inizio del  ’74 noi pomiglianesi eravamo organizzati in un circolo locale, il  Centro di Iniziativa Politico Culturale, in breve, CIPC. Già l’acronimo, da solo ci costò banalità, frizzi, lazzi e inenarrabili ilarità. Il gruppo, orgogliosamente autopostosi “a sinistra del PCI”, era in realtà un melting pot nel quale confluivano esperienze diversissime: rifiuto della linea “riformista e socialdemocratica” del PCI, bordighismo, spontaneismo, quasi, alla Lotta Continua e Potere Operaio, i delusi della Fgci e  un poco di azione cattolica che non manca mai e in italia non guasta mai;  a fondamento del gruppo vi erano gli studenti provenienti da ogni estrazione: universitari e medi e poi dalle scuole (Itis [tecnico industriale], magistrale, e professionale di Pomigliano;  scientifico e professionale di Marigliano; classico, geometra e ragioneria di Nola ). Il nucleo storico era  pomiglianese ed è proprio nella città più industrializzata del Mezzogiorno che il gruppo  si radica saldamente, nella campagna referendaria contro l’abolizione del divorzio, nei comitati di quartieri nati  spontaneamente nelle zone popolari della città,  nelle lotte dei disoccupati organizzati contro il lavoro nero e per il diritto al lavoro.


Pomigliano d'Arco Via Leopardi Festa di Fronte Popolare 1977(foto by Nello Manfrellotti)
Il  CIPC, Qcoinvolse centinaia  di giovani, e  quando fu il momento di aderire a una organizzazione  nazionale  la maggior parte scelse di entrare nell’Ms Mls; più tardi, ma con qualche distacco, com’è tradizione a sinistra, confluì nel PdUP (1981) e infine ma con molte perplessità e tante discussioni – che forse ancora perdurano privatamente - nel Partito Comunista Italiano (1984).  Apres… le deluje! Nulla fu come prima, ma neanche come dopo. Non ci si raccapezzò più. Chi partecipò all’avventura incise, in modo determinante, nella vicenda politica e sociale cittadina e per alcuni, quella è stata la prima palestra per dimostrare di essere in grado di poter portare un proprio e originale contributo a contesti, sicuramente,  più complessi. Solo per inciso, proprio qualche giorno fa,  l’Associazione politico culturale Sogno Democratico, in un incontro pubblico a Pomigliano, ha proposto una discussione con Luca Telese sul suo ultimo lavoro: “Gioventù amore e rabbia”, un originale ed onesto panflet  sull’Italia della crisi  in cui si raccontano le storie di  giovani che hanno il coraggio di non arrendersi  e vogliono decisamente cambiare un Paese che non sentono proprio. Nella sala affollata e molto partecipata ho contato più di una ventina di persone che hanno condiviso il periodo che stiamo cercando di descrivere.
Carissimi, compagne e compagni è evidente che mi vengano in mente tante vicende  legate al ruolo che svolse l’Ms Mls  nella storia sociale e politica della sinistra italiana ma  per scelta, pudore personale e  spazio escludo di trattarne qui,  invece,  spero con un po’  di leggerezza  di riuscire  a raccontare alcuni momenti,  forse  marginali, che coincidono  con il senso dell’avventura che  quella stagione ha rappresentato per me, insomma vorrei approcciare di striscio la sostanza  seguendo le suggestioni che il  ripensare a quegli anni sollecita.



Antifascismo e difesa della democrazia. La notte che avremmo dovuto salvare l’Italia.
Siamo nell’ottobre del 1974  e arrivano notizie,  molto riservate, che ci sia in atto un tentativo di colpo di stato (quello che poi sarà chiamato il golpe bianco di Edgardo Sogno), si mobilitano partiti, sindacati e organizzazioni della sinistra (PCI, PSI, Extraparlamentari, Noi, Lotta Continua e Potere Operaio); si crea  un coordinamento (la struttura apicale sarà chiamata black box e poi a cascata una struttura piramidale di altre box), io e altri facciamo parte della seconda box della cascata, la nostra indicazione era di riunirci  in un solo posto possibilmente a casa di qualcuno, senza che nessuno sapesse dove e ascoltare la radio: se le trasmissioni si fossero  interrotte prima delle 24.00 e fosse cominciata a essere diffusa musica classica, avremmo dovuto essere pronti a difenderci e resistere. Eravamo a casa di un compagno, sei o sette  di  noi, non ricordo di preciso, situazione ideale, radio in cucina e uscita immediatamente sulla strada. Attendemmo con ansia la mezzanotte, la tensione era altissima, l’orecchio incollato alla radio ma non succedeva niente. I programmi radiofonici proseguivano normalmente. Passarono altre due  ore, seza che nulla accadesse. Si era ormai al cuore della notte, forse era il caso di rilassarci ormai, però, essendo impossibile ogni contatto telefonico, giacché assolutamente proibito,  prendemmo atto da soli che forse il golpe era stato rinviato ad altra data. Ognuno di noi aveva trascorso la giornata precedente a distruggere, in sede e a casa, giornali, libri, documenti politici, elenchi di contatti e riferimenti e a fare riunioni preparatorie più o meno impegnative a seconda del livello della “cascata”. Eravamo stanchi e, a dire il vero, pure un po’ affamati. La famiglia del compagno che ci ospitava era numerosa e di soli figli maschi, la madre, credeteci,  era una cuoca straordinaria, che cucinava in quantità industriali; il padre, grande tifoso del Napoli e personaggio sicuramente sopra le righe, dal vano cucina, o meglio refettorio, viste le dimensioni della grande tavola di assi di castagno, raggiungeva direttamente una super fornita cantina di  rosso di manduria,  vinificato in casa. Era un vino doppio e violetto che, per intenderci,  lasciava la macchia persino sui bicchieri. Insomma, grazie al mancato golpe, trovammo pane e vino in abbondanza, e un orcio extra large di melanzane sott’olio, quelle col peperoncino, aglio e origano, e poi formaggio e salame. Apparecchiammo e timidamente cominciammo a mangiare. E bere, e, sempre meno timidamente, a rilassarci. Verso le cinque della mattina qualcuno improvvisamente bussò alla porta. Ci fu uno sbandamento generale, si saltava dalle sedie e  qualcuno si nascose pure, il padrone di casa, cautamente, andò ad aprire la porta e sull'uscio apparve Biagio, padre di Nicola D'Isanto, un vecchio quadro dell’Alfa Romeo Avio, socialista, uomo scaltrissimo e di grande ironia, il quale impiegò esattamente un attimo a capire la situazione. Ci squadrò intensamente  scuotendo la testa lentamente e nella sua inconfondibile cadenza puteolana  disse : E... vuje avissav’ avut’ salvà l’Italia ?!? Ci caricò in macchina e ci riportò a casa, tutti. Il giorno dopo Nicola ed io andammo a fare una riunione a Napoli nella sede di Fronte Unito (OCML) in piazza Cavour, ma questa è un’altra storia...




Giuseppone a Mare.
Che centra il ristorante napoletano con l’Ms Mls, c'entra, c'entra un po’ c'entra. Ho già descritto le confluenze nel CIPC; c’era di tutto ma mancavano gli stalinisti e noi stavamo per aderire a una formazione politica che non faceva mistero di avere simpatie in quella direzione: “Armata rossa torrente d’acciaio nelle tue fila si vince o si muor…” - si cantava a squarciagola nelle manifestazioni - “… al sole brillano le baionette e i ….”  . La scelta (Ms Mls) era pressoché maturata ma soltanto istintivamente. I gruppi di studio, caratteristica comune della nostra generazione, su Marx e Lenin e la distanza dallo spontaneismo trotzkista non ci avvicinavano automaticamente a Stalin e così per colmare la distanza ricominciamo a studiare. Prendemmo di petto la cosa, affrontando un saggio del celebrato capo del PCUS: “Problemi economici del socialismo nell'URSS”.  Si era a casa di uno di noi,  si legge,  si discute, si prendono appunti, così come avevamo sempre fatto, solo che quella volta le discussione era  scarna e molto formale, quasi burocratica.


Spiegazioni brevi e interventi ancor più telegrafici. Improvvisamente il compagno che stava leggendo, si ferma, tira fuori una sigaretta dal pacchetto e, come era solito fare, l’annusa. L’accende infine e, tirando una profonda boccata, esclama: “ Guagliù a me, stu’ Giuseppon’ ammare   m'ha già rutt’ o …”. Risata generale di approvazione e di franco sollievo. Non finimmo di leggerlo, il saggio.  É pur vero che aderimmo all’Ms Mls, ma nessuno di noi si è mai sentito stalinista. Nei fatti, che poi sono quelli che contano sul piano della storia, Giuseppone a mare ci aveva salvato da una prospettiva storica ormai superata.   




Vestivamo alla Katanghese.

Quando entrammo nel Ms Mls cambiammo molto, intanto trovammo sul nostro cammino i napoletani, i fuorisede universitari,  i milanesi e interagimmo con loro, assimilando  i loro modi e il loro stile; cambiammo gli “usi e i costumi” della nostra giovane, sgangherata e ingenua tribù.  In poco tempo qualcuno cominciò a parlare con la cadenza  milanese e i  “uè”,   i “ né”  e i  “pirla” comparvero  nello slang italo-napoli-pomiglianese. La mutazione vera avvenne però nel modo di vestire. Sì, nel look. A Pomigliano, che è sempre stata una città molto orizzontale, gli insediamenti industriali avevano solidificato un livello economico di benessere alquanto diffuso,  un cliché sociale che aveva generato costumi composti, dignitosi e poco stravaganti, non solo sul piano dell'apparire. La nascita dei grandi magazzini, per le famiglie, e la scoperta dei mercati di Resina, da parte dei giovani, già contribuirono a modificare sostanzialmente quel modello, ma la stagione della politica addirittura lo sconvolse, inferendogli il colpo ferale. Da quel momento cominciò il tempo del vestire ideologico. Si perché era dall’abito che riconoscevi il monaco o la chiesa di appartenenza. Eleganti ma sobri i socialisti; seriosi, decorosi ma grigi, i militanti del PCI e i giovani della FGCI, all’apice della trasgressione qualche maglioncino marroncino o al massimo  azzurro; colorati, stravaganti e vivaci  gli extraparlamentari LC, PO, Cub e Autonomia Operaia che negli atteggiamenti già ricercava quella normalità camaleontica che portò direttamente alla clandestinità.



Noi approfittammo dell’occasione e vestimmo alla Katanghese. L’impermeabile alla Humphrey Bogart invece dell’inflazionato eskimo; il Loden,  rigorosamente verde ed inglese con l’apertura delle tasche verso l’interno (se ricordo bene Amedeo ne aveva uno impeccabile);  i jeans Wrangler, i polacchini e il giaccone marinaro (che faceva molto servizio d’ordine, tenuta comoda e poco identificabile nella folla ); la coppola alla sicula  e non il basco o il berretto di lana;  i mocassini all’inglese; i  tessuti in velluto sia per pantaloni che per giacche ma anche il blazer blu abbinato a pantaloni di fustagno e, unica eccentricità consentita, la cravatta, rigorosamente regimental - quelle di  Cafiero erano inarrivabili - acquisimmo con approssimazione quello stile studentesco/professorale,  in fondo,  figlio di un’estetica di mezzo tra la monotonia piccolo borghese, la trasgressione frikkettona e il manierismo dandy. Però quel modo di identificarci ci insegnò ad affrontare le vicende politiche cruciali degli anni di piombo. Io  ricordo le manifestazioni,  quella di Bologna  e tutte le altre. Ricordo altresì la nostra fermezza nel difenderci  senza mai tracimare, cosa davvero difficile a quel tempo e quanto fu importante avere al mio fianco chi pensava, agiva e vestiva come me.
Nello Manfrellotti
Pomigliano 21 febbraio 2012    


Lucio Magri comizio del Pci a Piazza Primavera 1984 (foto by Nello Manfrellotti)

Nessun commento:

Posta un commento

Grazie per aver visitato questo blog.
Suggeriscilo ai tuoi amici.