IRI – Istituto di Ricostruzione Industriale
(a cura di Luigi iodice)
L’IRI,  acronimo di Istituto per la Ricostruzione Industriale, è stato un ente  pubblico italiano, istituito con R.D.L. 23 gennaio 1933 al fine di  evitare il fallimento delle principali banche italiane (Commerciale,  Credito Italiano e Banco di Roma) e con esse il crollo dell’economia,  già provata dalla crisi economica mondiale iniziata nel 1929.
Nel  dopoguerra allargò progressivamente i suoi settori di intervento e fu  l'ente che modernizzò e rilanciò l'economia italiana durante soprattutto  gli anni '50 e '60; nel 1980 l'IRI era un gruppo di circa 1.000 società  con più di 500.000 dipendenti. Per molti anni l'IRI fu la più grande  azienda industriale al di fuori degli Stati Uniti d'America; nel 1992  chiudeva l'anno con 75.912 miliardi di fatturato ma con 5.182 miliardi  di perdite . Ancora nel 1993 l'IRI si trovava al settimo posto nella  classifica delle maggiori società del mondo per fatturato con 67.5  miliardi di dollari di vendite. Trasformato in società per azioni nel  1992, cessò di esistere nel 2002.
L’IRI, quando fu costitutita, comprendeva due sezioni autonome: la sezione Finanziamenti e la sezione Smobilizzi.
La  prima aveva per scopo la concessione di mutui alle aziende per il loro  perfezionamento tecnico e la razionalizzazione della loro struttura  economica e finanziaria. I fondi necessari per tale attività potevano  essere attinti, oltre che al capitale proprio, anche mediante emissione  di obbligazioni.
La sezione Smobilizzi doveva riorganizzare il  settore industriale subentrando all'Istituto di Liquidazioni ed  ereditandone le numerose partecipazioni azionarie. In pratica aveva lo  scopo di risanare l'apparato produttivo duramente provato dalla I guerra  mondiale e dalla grande crisi del 1929-33, e di rilevare le  partecipazioni azionarie che appesantivano il patrimonio di alcuni  istituti bancari.
Le funzioni della sezione Finanziamenti  furono trasferite all'Istituto Mobiliare Italiano con R.D.L. 12 marzo  1936, n. 376, e le attività e passività furono passate alla sezione  Smobilizzi. Il decreto 24 giugno 1937, n. 905, stabilì che l'IRI fosse  costituito in ente finanziario di diritto pubblico per la gestione delle  partecipazioni azionarie e attività a esso già affidate, assumendone in  certi casi di nuove e smobilizzando gradualmente quelle che lo Stato  non avesse più interesse a conservare. Lo statuto fu approvato con D.L.  12 febbraio 1948, n. 51: secondo quanto in esso stabilito, l'IRI aveva  il compito di svolgere iniziative finanziarie mediante le partecipazioni  possedute e di emettere, in corrispondenza di determinate operazioni,  serie speciali di obbligazioni, ma non poteva dedicarsi alla raccolta  del risparmio come un istituto bancario.
Nel 1968 l'IRI  passava sotto le direttive del Comitato Interministeriale per la  Programmazione Economica (CIPE), mentre il bilancio veniva presentato  annualmente per l'approvazione al ministro per le Partecipazioni  Statali, unitamente alle relazioni del Consiglio di amministrazione e  del Collegio sindacale.
Le diverse società del gruppo IRI erano  suddivise in cinque settori, facenti capo ciascuno a una società  finanziaria. Per il settore delle telecomunicazioni la capogruppo era la  STET, costituita nel 1933; per le aziende di navigazione la Finmare  (1936); per il settore siderurgico la Finsider (1937), diventata ILVA  nel 1988; per quello meccanico la Finmeccanica (1948); per quello  cantieristico la Fincantieri (1959); per quello elettrico la  Finelettrica (1952), soppressa con la costituzione dell'ENEL (1962).
L'ente  raccoglieva più di un terzo delle imprese presenti nell'area pubblica,  per alcune delle aziende deteneva inoltre una partecipazione diretta:  per esempio, della Banca Commerciale Italiana, del Credito Italiano e  del Banco di Roma, nel settore creditizio; della SME, della COFIRI,  della SOFIN, nel settore finanziario; della Alitalia, nel settore dei  trasporti; della RAI, nelle comunicazioni; della società Autostrade,  nelle costruzioni e nella gestione della rete stradale; della IRITECNA,  che poi avrebbe incorporato l'Italstat e l'Italimpianti,  nell'impiantistica; delle Acciaierie del Tirreno, della CERIMET, della  SADEA, della SISMA, nella metallurgia.
Gli investimenti ed i salvataggi
L'IRI  pose in essere grandissimi investimenti nel Sud Italia, come la  costruzione dell'Italsider di Taranto e quella dell'AlfaSud di  Pomigliano d'Arco e di Pratola Serra in Irpinia; altri furono  programmati senza essere mai essere realizzati, come il centro  siderurgico di Gioia Tauro .
Per evitare gravi crisi  occupazionali, l'IRI venne spesso chiamato in soccorso di aziende  private in difficoltà: ne sono esempi i "salvataggi" della Motta e dei  Cantieri Navali Rinaldo Piaggio e l'acquisizione di aziende alimentari  dalla Montedison; questo portò ad un incremento progressivo di attività e  dipendenti dell'Istituto.
Gruppo IRI – andamento numero dipendenti
Anno Dipendenti
1938 201.577
1950 218.529
1960 256.967
1970 357.082
1980 556.659
1985 483.714
1995 263.000
Tra  la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, il forte  indebitamento dello Stato, che rendeva difficile il versamento dei fondi  di dotazione all'IRI, e la sopravvenuta difficoltà del gruppo, che non  riusciva a disporre più di capitale cospicuo per finanziare i nuovi  investimenti, rendevano ormai inevitabile la vendita delle società che  operavano in quei settori ritenuti non più strategici.
Venivano,  quindi, vendute prima le società della Finsider (dal 1988), poi quelle  dell'ILVA (dal 1993) e dell'IRITECNA (dal 1994) e, nello stesso tempo,  veniva decisa la trasformazione dell'IRI in società per azioni (1992).
Proseguendo  in questo processo di privatizzazione, l'IRI cedeva anche il controllo  del Credito Italiano (1993), della Banca Commerciale Italiana (1994) e  della Banca di Roma (1997), operazione che decretava la sua definitiva  uscita dal settore bancario.
Nel triennio 1994-1996  veniva, inoltre, messa in liquidazione la SME, cui facevano capo  Autogrill (distribuzione autostradale) e GS (grande distribuzione).
Con  la cessione della Dalmine (1996), l'IRI completava, dunque, anche il  processo di privatizzazione dell'intero settore siderurgico avviata nel  1993.
La privatizzazione delle società controllate  dall'ente, comunque, non sembrava fermarsi alla fine del sec. XX,  nonostante questo continuasse a detenere l'intero capitale o solo parte  di aziende come: Alitalia (53%), COFIRI (100%), Fincantieri (83%),  Finmeccanica (54%), Fintecna (100%), RAI (99,5%) e Tirrenia (85%).
Nel  1997, venivano cedute Condotte e Italstrade, nel settore impiantistico,  e nel settore delle telecomunicazioni, privatizzata la STET, a cui  seguiva nel 1999 l'OPAS della Telecom Italia.
Nel settore  della navigazione marittima, nel 1998 venivano inoltre vendute l'Italia  di Navigazione e la Lloyd Triestino, mentre nel 1999 veniva dato il via  alla privatizzazione degli Aeroporti di Roma (AdR) e nel 2000 erano  cedute le quote di partecipazione della Finmeccanica e della COFIRI.
La liquidazione dell’IRI
Le  poche aziende (Finmeccanica, Fincantieri, Fintecna, Alitalia e RAI)  rimaste in mano all'IRI furono trasferite sotto il diretto controllo del  Tesoro. Nonostante alcune proposte di mantenerlo in vita,  trasformandolo in una non meglio precisata "agenzia per lo sviluppo", il  27 giugno 2000 l'IRI fu messo in liquidazione e nel 2002 fu incorporato  in Fintecna, scomparendo definitivamente.
(da Sapere.it e Wikipedia)