Evento “Pomigliano: una questione settentrionale”. L’industria Aeronautica a Napoli e Pomigliano durante la II Guerra Mondiale
pubblicata da Dedicato a Pomigliano d'Arco il giorno venerdì 20 gennaio 2012 alle ore 16.31 ·
Evento “Pomigliano: una questione settentrionale”. L’industria Aeronautica a Napoli e Pomigliano durante la II Guerra Mondiale
Dedicato a Pomigliano d’Arco, nel programmare più ampi e specifici interventi sugli insediamenti industriali a Pomigliano d’Arco ed i loro sviluppi nel dopoguerra, propone preliminarmente questo capitolo “Gli anni della Seconda Guerra Mondiale” tratto dal libro “IL VOLO A NAPOLI - Dal Passato al Futuro” di Enrico Ferrone, IBN Editori, 1998. In questo “pezzo” di Ferrone viene descritta anche la sorte subita dagli insediamenti industriali e dall’aeroporto di Pomigliano. Seguiranno note relative agli insediamenti industriali dell'Alfa Romeo, dell'Aerfer, dell'Aeritalia, dell'Alfasud, Fiat e particolari degli avvenimenti trascorsi durante lo sviluppo industriale.
Gli anni della Seconda Guerra Mondiale
Nella grande confusione di cifre che regnava sugli armamenti in Italia, al momento della sua entrata in guerra, ci si rese conto, non senza il dovuto rammarico, nella necessità di attivare un apparato che potesse sopportare la richiesta della macchina bellica. Come ammise lo stesso Mussolini, secondo "Ali Italiane", tra le operazioni da compiere prima che il Paese fosse pronto ad immergersi nella Seconda Guerra Mondiale, sarebbe stato necessario "il trasferimento di molte industrie di guerra dalla Valle del Po all'Italia meridionale" per proteggerle ovviamente da quella che sarebbe stata l'offensiva di Francia e Gran Bretagna
Il Mezzogiorno, in un censimento del 1937 aveva il 17% degli occupati nel settore dell'industria, sul totale complessivo contato e la Campania era l'area forte dell'intero meridione, con il 28% degli occupati, ma in totale non erano più di dieci le imprese del sud d'Italia che avevano più di 1.000 dipendenti.
Lombardia, Piemonte e Liguria ospitavano la metà delle industrie aeronautiche e i tre quarti della produzione era concentrata nell'area di Milano, che contava il quadruplo degli occupati dell'intero meridione.
C'era poi il problema occupazionale, che non poteva essere lasciato a se stesso: nel 1935, la politica coloniale aveva prodotto un esercito di un milione di uomini, che il capo del governo dichiarò non poter smobilitare per non creare un milione di disoccupati e analogamente non si poteva fare con le commesse ormai ordinate alle industrie. E in effetti proprio le fabbriche stavano riducendo la disoccupazione anche in virtù della politica autarchica che rinvigoriva la base produttiva del Paese, ma trovava problemi insostenibili nello scontro con l'economia dell'esportazione.
Fu quindi la volta dell‘IRI, che nel 1937 fu decretato dover essere un ente permanente, con un pacchetto di proprietà veramente preziosa, consistente in banche, cantieristica, siderurgia, produzione di energia, industrie di trasporti e in particolare automobilistiche. Ma nell'Istituto non figurava la preziosa voce dell'aeronautica e nemmeno si rese possibile un accordo con i Cantieri Riuniti dell'Adriatico dei Cosulich perché troppo stridente appariva l'unione tra il pubblico e il privato. Almeno per il delicato settore in oggetto.
I fatti poi, di lì a poco avrebbero sconvolto le più avvincenti teorie, in quanto fu proprio l'IRI ad organizzare l'unico polo aeronautico italiano.
Su un terreno di coltura certamente non facile, nel quale oltre che le strutture generali occorrenti ad una industrializzazione intensiva, mancava anche la vera e propria mentalità in cui può attecchire rapidamente una concentrazione da ingegnerizzare, non poteva che toccare allo Stato il dover fare le prime mosse per avviare degli impianti produttivi che avessero la dimensione necessaria allo sforzo richiesto attraverso un apposito programma di incentivazioni.
E così, poco prima dell'ingresso dell'Italia in guerra, furono tre gruppi industriali a prendere in considerazione la possibilità di trasferire al Mezzogiorno gli impianti di produzione aeronautica e fu l'IRI che diede mandato all'Alfa Romeo di costruire a Pomigliano d'Arco, sui vecchi impianti esistenti, il Centro Industriale Aeronautico con lo scopo di produrre motori e componenti in duralluminio, interessando i Cantieri di Monfalcone per la produzione di cellule.
E forse fu questo passo della finanziaria di Stato, che fece aprire le porte alla produzione aeronautica nel sud del paese, anche se il piano, come già era accaduto per quello precedente che riguardava il coinvolgimento dei Cantieri, fu presto rigettato dal gruppo fondato dai fratelli Cosulich che, temendo la riduzione del lavoro presso gli impianti di Monfalcone, scartò Pomigliano dai propri interessi di azione. L'IRI inoltre ebbe anche l'opposizione della Breda, che aveva tutto l'interesse di utilizzare le infrastrutture dell’IMAM di Napoli, ma quest'idea fu esclusa dal’esecutivo centrale.
Il piano messo a punto dall'IRI, progettato da Ugo Gobbato, fu imponente: 3.400.000 metri quadrati con 14 padiglioni coperti, un campo volo con pista in cemento non sono che modeste cifre per dare la dimensione del fenomeno. Per comprendere, basti pensare che si tratta di tutta l'area oggi coperta dagli stabilimenti di Alenia, Alfa Romeo Avio e Alfa Romeo Auto. Quest'ultima ha impiantato sul campo di volo la pista di collaudo delle autovetture prodotte.
Nello stabilimento furono impegnate 6.000 maestranze e 700 tecnici. La scelta di Pomigliano non fu sicuramente causale: essa si ingenerò da condizioni geofisiche che vedevano la cittadina in provincia di Napoli umida a sufficienza per far insorgere le correnti ascensionali favorevoli per una pista aeroportuale, vasta e piana abbastanza da evitare ogni lavoro di sbancamento.
La posa della prima pietra avvenne il 1° aprile 1939 e il 1° aprile dell’anno seguente uscirono dagli impianti già otto motori Alfa AR 115. I motori, ingombrantemente raffreddati ad aria, equipaggiarono il Ca.309.
Lo sviluppo delle attività industriali in quel momento fu ovviamente fervido: la Breda otteneva da Monfalcone la licenza di produzione del trimotore da bombardamento Cant Z.1007 bis e a Capodichino proseguivano le intere fasi di progettazione.
L'IMAM e l’AVIS presentarono al ministero due diversi progetti di prototipi per lo stesso requisito di aereo che assolvesse al collegamento con le colonie.
L’IMAM propose l'Ro.63 (realizzato in sei esemplari) e l'AVIS il CA (realizzato in un unico esemplare); ambedue volarono nel 1940 dalla pista di Capodichino, potenziati dallo stesso motore Hirth 508.
La guerra però diede molto presto un colpo assai duro agli impianti del Mezzogiorno.
Il 23 maggio 1943 alle 10.45 un feroce bombardamento di Wellington inglesi ne fiaccò la vita, uccidendo anche 23 persone.
Poco dopo la Germania si impadroniva dei preziosi impianti industriali e ne utilizzò la pista di Pomigliano per il movimento degli Junkers 88 e dei Messerschmitt 323 della Luftwaffe.
Il grosso impianto di Pomigliano utilizzato prima per la manutenzione dei propri apparecchi, fu poi distrutto dalla ritirata dei tedeschi, che lasciarono in piedi solo qualche muro perimetrale e una ricostruzione, sia pure sommaria, fu possibile in un'altra aerea, di appena 29.000 metri quadrati, con l'organico assai ridotto di 500 operai e 70 tecnici. Una rovina dalla quale ci si è potuti rialzare solo per una naturale forza di sopravvivenza che in più occasioni ha dimostrato di avere il popolo meridionale, ma che ha comunque conservato i segni di grosse cicatrici.
Lo scenario era desolante: con la guerra era andato distrutto l'intero Centro di Pomigliano e dopo l'armistizio, quelle aree furono occupate dagli inglesi che le avevano rese la sede di reparti del Mosquito e per questo furono prese nuovamente di mira dalla Luftwaffe che vi effettuò numerosi bombardamenti, completando cavillosamente l'opera demolitoria della furia militare.
Poi era scomparsa l'AVIS per l'abbattimento dei capannoni della Caproni ed in una rovina tremenda versavano anche gli impianti IMM di Capodichino.
Solo l'IMAM sita in Vasto Bufola era riuscita fortunosamente a mantenere ancora in piedi la produzione ma i manufatti che uscivano dai suoi capannoni sarebbero stati soltanto carrozze ferroviarie. Dalla devastazione militare del sud d'Italia si salverà solo l'Aeronautica Sannita, nel beneventano, nella quale si svolgevano lavori di manutenzione degli aerei superstiti della Regia Aeronautica e lì saranno rimessi a posto i relitti dai campi di battaglia Macchi 205 rimotorati con Daimler Benz e i Macchi 202.
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