domenica 9 giugno 2013

Fronte Perduto. Un racconto della "nostra gioventù".

da Dedicato a Pomigliano d'Arco (Note) Venerdì 21 settembre 2012 alle ore 14.22


Fronte Perduto
di Nino Leone

Riceviamo da Nino Leone e volentieri pubblichiamo questo racconto  della "nostra gioventù" della metà degli anni '70 . Le foto sono state raccolte in rete  a cura della Pagina.


  Al Ponte di Casanova ci andavano i miei fratelli maggiori: compravano abiti da lavoro, loro. Uno..., in particolare, il pasticciere, dovendo lavorare da Sangiuliano al Vomero, "non poteva" presentarsi al lavoro con la divisa cucita da zia Assunta. Sarebbe stata notata subito: o troppo elegante o troppo fatta a mano e non stava bene per un semplice apprendista. Quindi niente panni americano-napoletani di compiacimento; eravamo gente di provincia, carni e nervi da fatica e troppo poca cacca da farci pallottole o per pettinare cani. Lo sfizio dell'usato ce lo prendevamo semmai, di prima mano e sempre e solo al mercato di Pugliano/Resina.


Calata ponte di Casanova oggi
Ponte di Casanova oggi
O Ponte 'e Casanova invece, io la frequentavo, e spesso, perché, oltre a panni usati, c'erano le botteghe dei decoratori: una specializzazione d'ambito, nell'arte dell''imbianchino o dei corniciai. Ci andavo col mio primo fratello, al quale ero molto legato e dal quale ho imparato a "guardare" in corpo a Pompei come una macchina a raggi X; lui faceva appunto il decoratore, cioè costruiva controsoffittature, abbassando le lamie delle alte stanza di una volta, grazie a telai di legno e tela di canapa di scarto; poi dopo una ripassata di colla e carta di giornali vecchi, venduti sempre li, al Ponte di Casanova, a poche lire al chilo, lasciando asciugare, finiva che la tela si "tesava".
Mi rintocca ancora in testa il tamburellare delle dita per sentire la tensione dell'enorme pancia ingiornalata. Poi, si passava la carta bianca e per finitura, si apponevano decori, cornici, fregi, centroni di gesso - a me piacevano quelli con la frutta, mele cotogne uva granate-. Si stuccava, scartavetrava, prima mano di pittura e, da ultimo, si dava di colore. Bianco grigio o celestino: questa era la regola. Tonalità necessariamente pastello, ché dalla calce come matrice base è difficile cavarne altro. Aveva un odore buono la calce, come di latte, benché più secco, disidratante: si avvertiva in punta di narici e le mucose nasali o delle labbra ne restavano impregnatee screpolate anche quando avevi finito o eri lontano.


Un lavoro rigoroso, fatto di molti saperi e di grandi effetti, concentrazione e soddisfazione. La gamma dei pennelli andava da tiralinee dai pochi peli ad almeno altri dieci di diverso calibro: serviano a ottenere linee tratteggiate a mano con il supporto di riga squadra e lenze. Grazie a quel mio fratello laborioso, al suo estro poliedrico e genioso, da artiere rinascimentale, so cos'è un lambrino, cosa la tecnica della cosiddetta "smacchiatura" o a cosa serve l'olio di lino cotto, o come si mordenza la vernice ad olio con l'ausilio dell'aceto e di una spugna marina. O ancora, come si finge marmo ciò che invece è solo un colpo d'occhio.


Questa tecnica antichissima e resistita per certe case fino alla fine degli anni 60 - per lo sbarco sulla luna del 69, la nostra sala da pranzo di famiglia era ancora decorata a questa maniera, parati sopra, lambrino a quadri, alternati a losanghe, zoccolatura in basso alta e scura, di finto marmo venato -, era diffusamente applicata oltre che nelle dimore d'epoca pompeiana soprattutto nei palazzi aristocratici, primi fra tutti i palazzi reali. I pavimenti delle sale che precedono quella del trono di Napoli o Caserta, sono rigiole di argilla "smacchiate" con la tecnica del marmo disegnato. In certi casi è veramente difficile da riconoscere per un "falso". Un falso d'antan, benché in perfetta... "buonafede"


Mo, come si dice a Berlino: « l'arte d'o pate è meza mparata »... anche questo vuol dire nascere in una famiglia di lavoratori. Essendo io ultimo di otto figli lascio immaginare quante arti ho appreso e corsi meno accelerati ho frequentato...

Movimento studentesco


Lo sfizio dell'usato me lo sono preso coi miei compagni di " Fronte Perduto" come usavano chiamarci alludendo al nostro gruppo di sette otto giovanotti di belle e animose speranze. Il nome era stato coniato dalla mamma di Giruccio, il belloccio di noi: alto biondo occhi cerulei sorriso ammaliante, modi garbat, portamento elegante: da solo compendiava tutti noi messi assieme. Allora eravamo universitari di primo pelo; frequentavamo i collettivi studenteschi e distribuivamo il settimanale "Fronte Popolare" organo del Movimento Studentesco che arrivava alla libreria Cuen del Politecnico.

Orbene qualcuno doveva pur ritirarli... noi eravamo gli addetti, ma solo Giruccio aveva il telefono in casa. A lui perveniva ogni sorte di info, mmasciate di ragazze, organizzazione, servizi e riunioni. La mamma di Giruzzo faceva da segreteria telefonica, benché non troppo fedele: infatti l'imbasciata di ritirare il nuovo giornale da distribuire, fu da lei trasformato in «Giru', ha telefonato uno da Fronte Perduto...» abbiamo riso per sere giorni e notti, e da quel giorno fummo quelli del gruppo di «Fronte Perduto» e ci comportammo di conseguenza.
In quel periodo vigevano canoni estetici da western-spaghetti; Sergio Leone era già quasi passato di moda e i nostri idoli vestivano in pieno Salt Lake Desert pellicce di lontra o marmotta come dovessero invece atttraversare tutto l'Ontario.
Mercato di Resina

Un giorno decidiamo di andare a Resina a comprare vestiti ostentatamente anti. Optiamo per l'acquisto di pellicce anche noialtri. Ci avrebbero dato un tono da duri, irriducibili, desperados dell'esistenzalismo e del nihilismo imperante. Ovviamenti i due tre belli del gruppo, Giruzzo in testa, trovarono subito soprabiti raffinati leggerini fighissimi: uno in particolare era di pelle di cavallo Apaloosa, a dire razza pezzata bianca e rossa: una sciccheria!

Cavallo Appaloosa

Mercato di Resina

A noi poveri ma brutti, restavano le pellicce di animali i più strani, armadillo astrakan lapen gatto, probabilmente. Ore e ore passate in case fetide di umido mai asciugato dell'ultima eruzione pliniana. Funghi e "peruto" che le mani rinsecchivano al contatto con i licheni cresciuti su cinghie, borse, stivali e scarpe di cuoio.

Pelliccia di orso

Scegliamo pattuiamo paghiamo e, caricandoci orgogliosi le nostre gloriose "mise" trasgressive, ce ne torniamo a casa. A me toccò una pelliccia di orso, costata appena 5 mila lire, che da sola meritava una carriola per portarla. Guido che passava all'impiedi sotto il letto, tanto era un pezzo di stangone, ne aveva un'altra di marmotta tre volte la sua taglia. Appuntamento la sera al muro del viale principale. Arriviamo come i monaci, uno alla volta... - mi piacerebbe riverdermi/ci - a parte i fighi, dei poveri ma brutti si vedeva avanzare per strada solo ste pelliccione, goffe e imbabuccate, mentre noialtri si spariva sotto la folta peluria...


Pelliccia di Marmotta
E poi... un caldo... un caldo... un caldo asfissiante. Ma si soffriva per orgoglio della coerenza e in forza della trasgressione e della decisione presa. Ormai eravamo Fronteperdutisti. Andavamo orgogliosamente tronfi dei nostri trofei e dello stupore nonché del ridicolo cui volontariamente ci eravamo sottoposti: un caldo da morire, da stramazzare. Mai avuto tanto caldo sotto marzo.

Anche i Beatles vestivano giacche di eskimo

Risultato finale, la settimana dopo restituimmo le pellicce, tranne Giruzzo, e ci comprammo un comodo eskimo foderato di soffice e caldo fluff col quale, da Fronte Perduto, parte di noi arrivò fino alla laurea in medicina.


 

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